Archivio mensile:febbraio 2015

Oscar 2015. “Birdman” il miglior film

Gli Accademy Awards 2015 si sono appena conclusi ed ha decretato i suoi vincitori. Tutte le buste sono state aperte e il presentatore Neil Patrick Harris, ha concluso la serata.
Inarritu

E’ arrivato il momento di fare un riassunto di chi ha gioito all’87esima edizione. “Boyhood” forse non ha ottenuto le vittorie sperate (solo la statuetta a Patricia Arquette), “Birdman” ha pienamente atteso i pronostici e gli attori sono stati premiati secondo le aspettative.
Infatti il film di Inarritu si è portato a casa le statuette più importanti (ad eccezione di quella per miglior attore per Michael Keaton), anche quelle che, secondo i sondaggi dovevano andare a Boyhood. Grande serata anche per “Grand Budapest Hotel” e “Whiplash”.
Soprattutto bisogna ricordare la nostra costumista Milena Canonero che ha vinto il suo quarto Oscar per i costumi di “The Grand Budapest Hotel”.
Ecco di seguito tutti i vincitori di quest’anno:

Miglior film
Birdman

Miglior attore protagonista
Eddie Redmayne in “La teoria del tutto”

Miglior attore non protagonista
J.K. Simmons in “Whiplash”

Miglior attrice protagonista
Julianne Moore in “Still Alice”

Miglior attrice non protagonista
Patricia Arquette in “Boyhood”

Miglior film d’animazione
“Big Hero 6” Don Hall, Chris Williams e Roy Conli

Miglior fotografia
“Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance)” Emmanuel Lubezki

Migliori costumi
“The Grand Budapest Hotel” Milena Canonero

Miglior regia
“Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance)” Alejandro G. Iñárritu

Miglior documentario (lungometraggio)
“CitizenFour” Laura Poitras, Mathilde Bonnefoy e Dirk Wilutzky

Miglior documentario (cortometraggio)
“Crisis Hotline: Veterans Press 1” Ellen Goosenberg Kent e Dana Perry

Miglior montaggio
“Whiplash” Tom Cross

Miglior film straniero
“Ida” – Polonia

Miglior make-up
“The Grand Budapest Hotel” Frances Hannon e Mark Coulier

Miglior colonna sonora
“The Grand Budapest Hotel” Alexandre Desplat

Miglior canzone originale
“Glory” da “Selma” (Musica e testo di John Stephens e Lonnie Lynn)

Miglior scenografia
“The Grand Budapest Hotel” Adam Stockhausen; Anna Pinnock

Miglior corto animato
“Feast” Patrick Osborne e Kristina Reed

Miglior cortometraggio live action
“The Phone Call” Mat Kirkby e James Lucas

Miglior montaggio sonoro
“American Sniper” Alan Robert Murray e Bub Asman

Migliori effetti sonori
“Whiplash” Craig Mann, Ben Wilkins e Thomas Curley

Migliori effetti speciali
“Interstellar” Paul Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter e Scott Fisher

Miglior sceneggiatura non originale
“The Imitation Game” di Graham Moore

Miglior sceneggiatura originale
“Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance)” di Alejandro G. Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Jr. & Armando Bo

FABIO BUCCOLINI

“Hemlock Grove”, la serie prodotta da Eli Roth che strizza l’occhio a “Twin Peaks”

Più “Twin Peaks” o più “True Blood”? Hemlock Grove si muove in bilico tra queste due serie, oscillando un po’ da una parte, un po’ dall’altra. Nonostante tali riferimenti, si tratta di uno dei prodotti televisivi più originali degli ultimi tempi.

Hemlock Grove

La serie è tratta dall’omonimo romanzo del 2012 firmato da Brian McGreevy, che ha anche curato l’adattamento per il piccolo schermo. Il nome che fa più spicco è quello del produttore (non che regista di alcuni episodi tra cui il pilot), cioè Eli Roth. Quest’ultimo a qualcuno fa storcere il naso, mentre fa esaltare qualcun altro; grazie a film come “Cabin Fever” e “Hostel”, l’amichetto di Quentin Tarantino si è infatti guadagnato un seguito di culto. L’impronta di Eli Roth nella serie non è così forte ed è presente più che altro nell’episodio pilota, in cui l’atmosfera che si respira è più vicina a quella del suo folgorante esordio “Cabin Fever” che non a quella di “Hostel”. La trama, se raccontata, potrebbe risultare piatta e banale: un ragazzo nuovo in una città piena di segreti, una famiglia onnipresente eppure sfuggente, licei, bulli, amici, omicidi consumati nel bosco e preceduti da ululati emessi sotto la luna piena. Effettivamente banale lo è davvero, e le dinamiche familiari e i morbosi intrighi ricordano alla lontana quelli di una soap. A rendere oscuro e impenetrabile il tutto è una cappa di paranormale, che prevede cacciatori, licantropi, medium e sortilegi, maledizioni ed esperimenti di scienziati che giocano ad essere Dio. La serie è un carosello di stramberie; una di quelle in cui, spesso, ci sono episodi in cui comprendi poco o niente, ma che comunque ti ipnotizzano e ti spingono a vedere ancora e ancora. Mi è piaciuto, ma non so perché. E’ uno di quei prodotti che, se spiegati, perdono tutto il loro fascino. Dà sprazzi di verità, è delirante, eppure dietro a quel velo di stranezza è molto più semplice di quanto sembri. Riesce a tenerti, però, curioso e vigile per tutti gli episodi. Monitorare i comportamenti dei personaggi è un’esigenza. Sono ambigui, incomprensibili, fuori dagli schemi, bellissimi. Tutto quello che uno spettatore si aspetta. La serie è stata sparata tutta in un colpo solo dal servizio di streaming Netflix. 13 episodi tutti insieme, un’idea che butta all’aria l’intera concezione di serialità tradizionale, basata sulla classica puntata, massimo due, a settimana. Qualcosa del genere lo fa anche la serie stessa: “Hemlock Grove” in una botta sola propone al suo interno di tutto; è un giallo mystery con atmosfere alla “Twin Peaks”, “The Killing” e pure un po’ di “Pretty Little Liars”. Ci sono anche risvolti fantasy licantropeschi alla “Teen Wolf” e “The Vampire Diaries” ma anche “True Blood”; insomma trame da teen drama, qualche contorno soapposo e un pizzico di humour nero per alleggerire il tutto. Quindi, possiamo dire che la serie è un pasticcio? Ebbene si, un pasticcio…ma intrigante!!! Per la sua concenzione, la serie rimanda soprattutto a “Twin Peaks”. I personaggi sembano palesemente usciti da un’opera di David Lynch. Bill Skarsgård è Roman Godfrey, un po’ il bel tenebroso di Hemlock Grove, ancor più del licantropo gitano, ed è l’ereditiere superficiale e cazzaro più potente e in vista della cittadina. Sembra avere qualche potere soprannaturale e inoltre sia fisicamente che come personaggio mi ricorda Bobby Briggs di “Twin Peaks”. Inoltre ci sono anche la bionda teen di turno, Penelope Mitchell, che con quell bel faccino pure lei fa tanto David Lynch, e la giovanissima Freya Tingley, tipetta misteriosa che all’inizio non si capisce bene cosa c’entri con il resto e invece c’entra parecchio. Ma il personaggio migliore dell’intera serie e che più di tutti incarna l’ideale personaggio alla Lynch è la sorella di Roman Godfrey. Una specie di Frankenstein al femminile che è interpretata da Nicole Boivin. Nel corso dei 13 episodi della prima stagione succede di tutto e di più, ci sono personaggi piuttosto inutili che arrivano e poi spariscono, ci sono eventi inspiegabili che però nel corso dell’ultima puntata vengono in qualche modo spiegati, ci sono visioni, momenti splatter e altri trash, episodi avvincenti alternati a puntate riempitivo, errori di sceneggiatura clamorosi che però si risollevano quando meno te lo aspetti, e soprattutto tanta, ma tanta, follia. Hemlock Grove è bella per questo. Seppur incasinata, seppur incorpora in se eventi soprannaturali già visti in troppi film è una serie che si distingue dalla massa perché sa coinvolgere e sorprendere. Non sarà certo il nuovo “Twin Peaks”, ma nemmeno un altro inutile “Twilight” di cui non se ne sente il bisogno. Per concludere, se volete vedere una serie diversa che appassiona ed incoraggia, in ogni puntata, alla visione guardatela; mentre se cercate qualche serie simil Teen wolf e affini cambiate canale…siete proprio in un altro pianeta. Strano, originale, onirico, ben scritto e intelligentemente diretto, ammaliante, vagamente vintage….tutto questo è “Hemlock Grove”.

 

FABIO BUCCOLINI

“50 sfumature di grigio”, il film scandalo del 2015 che non scandalizza

Si, alla fine mi sono “sfumato” anche io. Dopo aver ascoltato milioni di storie sul romanzo e dopo aver visto le sale dei multiplex strapiene dal giovedi dell’uscita, mi sono deciso ad andare a vedere il più atteso film dell’anno. Il risultato è un film che ha fatto molto parlare di se ma che non convince.

cinquanta sfumature di grigio

Per chi come me non avesse letto il libro, ecco a voi un accenno di trama: Quando Anastasia Steele, graziosa e ingenua studentessa americana incontra Christian Grey, giovane imprenditore miliardario, si accorge di essere attratta irresistibilmente da quest’uomo bellissimo e misterioso. Convinta però che il loro incontro non avrà mai un futuro, prova in tutti i modi a smettere di pensarci, fino al giorno in cui Grey non compare improvvisamente nel negozio dove lei lavora e la invita a uscire con lui. Anastasia capisce di volere quest’uomo a tutti i costi. Anche lui è incapace di resisterle e deve ammettere con se stesso di desiderarla, ma alle sue condizioni. Travolta dalla passione, presto Anastasia scoprirà che Grey è un uomo tormentato dai suoi demoni e consumato dall’ossessivo bisogno di controllo, ma soprattutto ha gusti erotici decisamente singolari e predilige pratiche sessuali insospettabili… Nello scoprire l’animo enigmatico di Grey, Ana conoscerà per la prima volta i suoi più segreti desideri.
Il film si può riassumere così: è semplicemente una storia d’amore con un pizzico di pepe in più e il tutto condito con un po’ di sesso. Chi andrà a vederlo, sperando in un “porno” sul grande schermo può tranquillamente astenersi. Si è vero, di nudo se ne vede molto (soprattutto della giovane protagonista femminile), ma niente di scandaloso; d’altronde non siamo andati a vedere una versione giovanile di “Nymphomanic” ma un film che racconta una storia d’amore tra due persone all’apparenza normali ma che si rivelano parecchio strambe.
Diciamoci la verità, la cosa strana della relazione tra i due protagonisti è proprio quello che non ti aspetti. Non è strano Mr. Grey che ha gusti sessuali particolari (al giorno d’oggi il sadomaso è all’ordine del giorno) ma lei, la piccola e fragile Anastasia. Lasciando da parte il paradosso che per fare sesso lui gli sfinisce la vita al fine di fargli firmare un contratto con determinate regole da seguire (ma siamo ridicoli?), la cosa che stupisce di più è che lei si fa fare tutto ciò che lui chiede umiliandosi in tutto e per tutto. Sono convinto che nel 2015 di queste persone ce ne sono tantissime ma vorrei sfidare la maggior parte di voi a chiedere alla propria ragazza di fare solo una parte di quello che chiede il protagonista e vediamo se la vostra storia d’amore continuerà felice e contenta. Comunque essendo un racconto di fantasia non posso che accettare queste scelte anche se un po’ troppo eccessive.
Passiamo alle interpretazioni. Lei, Dakota Johnson, è veramente brava. Rappresenta il perfetto equilibrio tra vulnerabilità, impertinenza, bellezza e coraggio. Si lascia guardare e riesce a dare spessore ad un personaggio che, date le molte scene di nudo, poteva rivelarsi molto scomodo. Il lato dolente è sempre lui, Mr. Grey. Ad interpretarlo, il tenebroso Jamie Dornan. Totalmente inespressivo, che ad un certo punto pensavo volesse imitare la mimica facciale del grandissimo Clint Eastwood ai tempi dei film con Sergio Leone. In qualsiasi situazione la sua espressione non cambiava e non riesce a dare profondità ad un personaggio che (a detta del libro) è cupo, tenebroso e molto complesso.
“50 sfumature di grigio”, nonostante molti suoi difetti e alcune battute fuori luogo e immensamente imbarazzanti come “Adesso farai l’amore con me? Io non faccio l’amore, io scopo…scopo forte” la pellicola si lascia guardare con semplicità e non annoia mai nonostante i sui 125 minuti di durata.
Volete passare una serata tranquilla, senza pensieri e con qualche risata? Andate tranquillamente a vederlo ma, se vi aspettate lo scandalo evitatelo tranquillamente. Sicuramente un ottimo prodotto d’ intrattenimento che farà fare una valanga di soldi alla casa produttrice.
In conclusione vi lascio con un quesito: se il film fosse stato veramente diretto da Gus Van Sant, e sceneggiato da Brett Easton Ellis sarebbe venuto sempre così mediocre oppure avrebbe fatto il salto di qualità? L’autrice del romanzo E.L.James che ha scelto personalmente il regista di questo adattamento, non ha voluto rischiare ma, come si dice?…”chi non risica non rosica!!!”.
Una curiosità: il libro è nato come parodia di Twilight. Veniva pubblicato on-line a puntate e fruibile gratuitamente. Grazie al suo enorme seguito, l’autrice ha cambiato i nomi dei protagonisti e una casa editrice ha deciso di pubblicarlo…così è nato questo fenomeno di massa da 100.000.000 di copie vendute.
Adesso traete le vostre conclusioni.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Wetlands” un capolavoro degli eccessi

Lo hanno soprannominato “50 sfumature di schifo”, ma è un film straordinario che merita la visione. Presentato a Locarno nel 2013, il lavoro del tedesco Wnendt svela la storia di una giovanissima che fa del proprio corpo una palestra di trasgressione estrema. Tante le sequenze hard che sconfinano nello splatter grottesco. Ovviamente invisibile in Italia.
Wetlands

“Wetlands, in italiano più o meno “zone umide”, è la storia della giovane Helen, con un’infanzia difficile alle spalle dovuta alla separazione dei genitori, che racconta la propria vita trascorsa nella ricerca estrema del piacere. In ogni suo aspetto, dalla masturbazione con i vegetali, fino allo sconfinamento nel lato lercio delle più represse pulsioni sessuali. Di qui la sua battaglia tutta splatter contro l’igiene che la porterà a scambiarsi assorbenti usati con l’amica Corinna.
Un accenno di spiegazione psicologica del comportamento della ragazza è nelle immagine alternate che la raccontano bambina vittima di piccoli traumi infantili, del divorzio dei genitori, con un padre che cerca altre donne e una madre che compensa la solitudine attraverso la religione.
La cosa che da dell’inverosimile e che “Wetaands” è un titolo, notissimo in Germania, che viene dal bestseller di Charlotte Roche e che è stato oggetto di dibattiti sui media.
La differenza abissale tra il libro e il film e che il primo è scritto in prima persona e raccoglie memorie, fantasie, ribellioni pensieri dell’autrice; mentre il secondo ha tradotto tutto questo in immagini andandoci molto più leggero. Mai il primo piano degli organi sessuali, ma tanto nudo, tanti dettagli, sperma e sangue in quantità. Questo rende la pellicola non erotica ma provocatoria, volutamente splatter spazzando via ogni possibile tabù.
in “Wetlands”, Carla Juri (che interpreta la diciottenne Helena, ossessionata dai fluidi), È bravissima, in primo luogo perché è in grado di allontanarsi da tutto quello che possa averle fatto ribrezzo o imbarazzata nel girare la parte, e poi perché non dà l’idea di fare niente di straordinariamente fuori dal normale.
Insomma una pellicola grottesca, anche se apprezzata universalmente dalla critica. Tante immagini di nudo, ma senza mostrare mai i genitali. D’altronde con il porno non ha niente a che fare, ma esprime un linguaggio estremo per provocare una riflessione nella mente dello spettatore.
Se vi capita guardate “Wetlands”. Merita tutta la vostra attenzione.

FABIO BUCCOLINI

Terrence Malick il filosofo della settima arte

Sei film in quarant’anni e una miriade di star pronte a tutto per apparire in un suo film. Tutto questo è Terence Malick, il cineasta filosofo che nella sua riservatezza è riuscito a contaminare tutto il sistema hollywoodiano.

**EXCLUSIVE** The elusive Terrence Malick directs a scene for "Knight of Cups" on location in Los Angeles

Tutto ormai sembrava scritto, il regista statunitense, è il meno prolifico di tutti. In oltre 30 anni di carriera ha girato solo sei film. Ma scopriamo con grande clamore che ora che ha tre progetti pronti solo ed esclusivamente per il 2015. Questa è la strana, anzi stranissima “seconda vita” artistica di terrence malick che, ormai settantenne, ha deciso di dare una svolta alla sua carriera e mettere da parte la sua ossessiva riservatezza per vivere il lavoro sul set in modo meno intransigente.
Malick è sempre rimasto nell’ombra: mai presente a festival o premiazioni, per lui anno parlato i suoi film. Addirittura alla notte degli Oscar 1999, quando venne candidato il suo “La sottile linea rossa”, fece mettere a contratto la clausola che imponeva alla produzione di non usare sue foto per la promozione della suddetta pellicola.
I suoi studi filosofici, e la profonda credenza nella religione hanno contraddistinto molto il suo modo di concepire le pellicole. In ogni suo film, ci sono rimandi visibili alla creazione del mondo oppure a una visione della vita più tosto particolare concepita tramite i suoi studi nell’età giovanile. Il suo, è un cinema istintivo e poco programmatico. Una cosa è certa, il suo stile ha preso una direzione ben precisa, confermata anche dai suoi interpreti. Ha infatti ridotto al minimo il peso della sceneggiatura e della pre-produzione, decidendo di lasciare che la macchina da presa catturi istanti di vita imprevisti e che attirano la sua attenzione quando si è già sul set. Un cinema, insomma, che si crea e si nutre della quotidianità nel senso più profondo che questo possa significare.
I suoi grandi successi sono ormai diventati dei veri e propri cult. “La rabbia giovane” e “I giorni del cielo” negli anni 70, poi una lunga pausa di oltre vent’anni. Il ritorno con “La sottile linea rossa”, vincitore a Berlino e pluricandidato agli Oscar, è stato un vero e proprio boom, i critici hanno osannato questo rientro ad Hollywood come il suo più grande capolavoro. Dopo “La sottile linea rossa” la sua attività è diventata molto più prolifica, infatti i suoi tempi di gestazione si sono notevolmente accorciati e dopo sei anni torna in sala con la sua versione personale di Pocahontas intitolata “The new world” e interpretata da Colin Farrel. Dopo altri sei anni si presenta al Festival di Cannes con “The tree of life” il quale vince la Palma d’oro. Infine l’anno dopo fa un fugace passaggio a Venezia con “To the wonder”. Adesso il cineasta statunitense si prepara a una stagione cinematografica intensissima. Due i film già in fase di post-produzione e un documentario.
Il primo è “Knights of cups”, che verrà presentato al prossimo Festival di Berlino. Un’opera che ruota interamente attorno alla figura di un uomo, con le sue trasgressioni e i suoi eccessi. nei panni del protagonista Christian Bale che, nelle interviste, ha parlato di un Malick in grandissima forma, pieno di idee.
Ecco a voi la sinossi ufficiale: Rick è uno schiavo del sistema hollywoodiano. È drogato di successo, ma al contempo si dispera per la vacuità della sua esistenza. Ha trovato casa in un mondo di illusioni, ma cerca la vita reale. Come la carta dei tarocchi che dà il titolo al film, Rick si annoia facilmente, e ha bisogno di nuovi stimoli dall’esterno. Ma il Cavaliere di Coppe è anche un artista, un romantico e un avventuriero.
Dovrebbero passare pochi mesi da questo titolo e dovrebbe arrivare un secondo film, ancora senza un nome, arricchito da un cast senza precedenti; ad affiancare ancora una volta Christian Bale ci saranno Cate Blanchett, Natalie Portman, Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara, Benicio Del Toro, Val Kilmer e Holly Hunter. Insomma, il meglio di hollywood si dà appuntamento sul set. La storia dovrebbe trattare ancora uno dei temi cui il regista è più affezionato: due triangoli amorosi si incroceranno provocando una serie di imprevedibili e drammatiche conseguenze.
Per concludere in bellezza, sempre nel 2015, arriverà anche quello che forse è il più misterioso e ambizioso dei tre progetti: un documentario dal titolo “Voyage of time”, con Brad Pitt che farà da voce narrante all’imponente tentativo di raccontare “la nascita e la morte dell’universo conosciuto”. Un’idea che a Malick deve essere venuta proprio mentre lavorava con Pitt ai tempi di “The tree of life”: durante la lavorazione del film, infatti, al regista vennero in mente degli onirici e folli inserti che, tra una sequenza e l’altra che mettevano in scena i cambiamenti nella famiglia di provincia protagonista della storia, ritraevano immagini dell’origine “della vita”, dai momenti della nascita del pianeta a quelli dell’estinzione dei dinosauri.
Insomma che dire? Tutto questo è Terrence Malick, o lo si ama o lo si odia, scegliete voi.

FABIO BUCCOLINI