Archivio mensile:marzo 2014

Federico Zampaglione: il ritorno dei Tiromancino e la carriera cinematografica

Dopo quattro anni di lontananza dalla musica, Federico Zampaglione torna ad incidere musica e lo fa accompagnato da suo fratello Francesco.

Londra, Premiere del film
Il nuovo album dei Tiromancino è quello che tutti ci aspettavamo: fantastico. I testi scritti da Federico e musicati da suo fratello Francesco sono bellissimi. Parlano di sentimenti, amore e di vita. Il tutto tramite sonorità che da molto tempo non facevano più parte del gruppo. Ascoltando l’album si ritrovano le musicalità degli inizi. Molti strumenti acustici e campionatori che hanno contraddistinto i loro inizi. Un ritorno alle origini molto atteso che non delude le aspettative ma fa riscoprire una parte del gruppo a molti ancora sconosciuta.
I fratelli Zampaglione, in questi anni, non si sono persi mai di vista, infatti durante la lunga assenza dalle scene musicali i due hanno continuato a lavorare insieme. Federico dirigeva film e Francesco componeva la colonna sonora.
Come dicevo, Federico ha accantonato i suoi progetti musicali per dedicarsi alla regia cinematografica. Il suo primo film si intitola “Nero bifamiliare”, commedia grottesca dai toni noir che mostra la grande potenzialità del cantautore dietro la macchina da presa.
Dopo questa prima prova, cambia totalmente genere e si dedica al cinema horror.
Il suo approccio è totalmente diverso da quello degli altri registi che, dopo l’uscita di Hostel, si sono focalizzati soprattutto sul genere splatter e tortur porn.
La sua è una visione di vecchio stampo che si avvicina molto a quella di Lucio Fulci, Mario Bava e, a detta di tanti Dario Argento.
Il suo primo film di questo genere, è “Shadow” che vede collaborare alla sceneggiatura anche Domenico Zampaglione padre di Federico. Il film, girato totalmente in lingua inglese e poi doppiato per il mercato italiano, è un vero successo di critica e di pubblico e tutti lo osannano come nuovo erede di Argento. Presentato a molti festival di settore ha vinto svariati premi ed ancora oggi viene considerato un gioiello.
Dopo 3 anni e una lunga gestazione partono le riprese del suo nuovo film intitolato “Tulpa”. Questa volta un vero e proprio omaggio al giallo all’italiana. Con una produzione indipendente, per non sottostare alle regole della grande produzione, realizza un film quasi perfetto nelle sue limitazioni e si avvale della collaborazione di grandi attori del calibro di Michele Placido e di sua moglie Claudia Gerini.
Il film è un capolavoro del genere, rispecchia tutte le regole del giallo e fino alla fine tiene lo spettatore con il fiato sospeso. Una scenografia ed una colonna sonora perfetta contribuiscono a far vivere allo spettatore un esperienza unica che non si vedeva più in sala dai tempi dei grandi film di Lucio Fulci.
Zampaglione è come Quentin Tarantino, omaggia e lo fa apertamente. Alcuni si sono lamentati dicendo che i suoi film sono copie di cose già viste ma non capiscono che tutto ciò che ci viene mostrato è un omaggio aperto a vecchie pellicole che al tempo non venivano valorizzate a dovere.
I suoi film sono un omaggio aperto ai Bmovie e quindi le tecniche di ripresa riprendono quegli aspetti che in Italia, con l’avvento delle nuove tecnologie e seguendo la scia del cinema americano, si sono perse.
L’unico mio rammarico è che, come tutte le cose belle in Italia, non vengono comprese. Infatti nel mondo viene conosciuto come regista horror (Tulpa è stato acquistato per la distribuzione in America) mentre da noi solo come cantautore, come se una cosa escludesse l’altra.
C’è solo una definizione che lo rappresenta: artista completo che riesce a far sognare con le sue parole in musica e con le immagini tramite le pellicole.
Ad oggi è notizia che è stato ingaggiato per girare alcuni film in America e personalmente gli posso dire solo una cosa: In bocca al lupo Fede e continua a farci sognare come hai sempre fatto.

 

FABIO BUCCOLINI

“Hansel e Gretel e la strega della foresta nera” : AIUTOOOO!!!

Nonostante un trailer che incuriosiva e la scritta in evidenza “dai produttori di Twilight”, è assolutamente osceno. Manca di un nesso logico e anche i fratelli Grimm, che hanno scritto la favola originale, si stanno rivoltando nella tomba.

Hansel e Gretel e la strega della foresta nera

Hansel e Gretel sono due adolescenti annoiati della provincia americana attratti dalle droghe. Quando scoprono che una anziana signora vende un’erba fantastica, la “foresta nera” del titolo, si recano da lei per fare shopping. Ma la marijuana è solo un’esca per attrarre giovani della cui carne la strega cannibale va ghiotta. La fattucchiera si nutre di carne giovane nella speranza di conservarsi a sua volta giovane in eterno. Per attirare il suo pasto, offre ai ragazzi biscotti di marzapane che provocano incubi e allucinazioni, li imprigiona e quindi li fa pezzi. Ce la faranno Hansel e Gretel a sfuggire alle sue grinfie?
La favola dei fratelli Grimm è stata teatro di molte trasposizioni cinematografiche, una delle più importanti è quella di Tim Burton datata 1982, fino ad arrivare ad Hansel e Gretel cacciatori di streghe (già in cantiere un sequel) dello scorso anno.
Questa versione, voluta fortemente dai produttori della saga di Twilight in cerca di un nuovo successo planetario, vuole essere, o per lo meno viene pubblicizzata come la più horror di tutte.
Nel trailer si avverte lo spettatore che il film non è adatto ai deboli di cuore. Una cosa più lontana dalla verità di questa non esiste. Le scene più violente e considerate per l’appunto horror, sono sotto il livello di guardia ed una serie tv come True blood (ad esempio) ha effetti speciali migliori di questo filmaccio che non doveva essere nemmeno prodotto.
Ci si era lamentati perche nella trasposizione dello scorso anno i due protagonisti sono stati modernizzati troppo e risultavano molto distanti dalla versione originale. Allora cosa dovremmo dire di questo film dove Gretel è strafatta tutto il tempo e il fratello Hansel è un verginello nerd alle prime armi? Assolutamente ridicolo. Per non parlare della vecchia strega che si fa canne a ripetizione. Onestamente non ho parole per definire un aborto del genere.
In due parole: Sceneggiatura inesistente, recitazione che eguaglia i peggiori film di Ed Wood e una regia inesistente. In pratica non c’è una nota positiva in questa versione super moderna.
Pellicola che si trova hai livelli dei vari Angry games, Disaster movie, Horror movie ecc.
Penso di essermi spiegato nel migliore dei modi.
Se avete il coraggio di andarlo a vedere posso solo dirvi una cosa: fatelo…a vostro rischio e pericolo!

 

FABIO BUCCOLINI

“Need for speed” supera ogni più rosea aspettativa

Sicuramente non sarà una pellicola che verrà ricordata negli annali del cinema, ma rende onore alla saga di video giochi da cui è tratto e riesce nel l’intento di far divertire lo spettatore.

Need for speed

Tobey Marshall è un meccanico e un asso del volante. Gestisce onestamente l’officina di famiglia, ma nel fine settimana con gli amici partecipa alle corse clandestine. La sua vita si può definire piuttosto felice. Un giorno tutto cambia. Viene accusato per un crimine che lui non ha commesso e il suo universo crolla in un baleno. Finisce in prigione e nei due anni successivi la sua mente viene totalmente assorbita dall’idea di vendetta. Tutto ciò in cui credeva non esiste più. Adesso vuole soltanto distruggere chi gli ha tolto tutto. E lo vuole ad ogni costo….
Il film raccontato in questo modo non si differenzia molto da Fast and furious e per chi non lo ha visto, basandosi solo dal trailer, l’impressione che da è proprio quella della brutta copia della pellicola che ha reso famoso Vin Diesel. Niente di più sbagliato.
Anche io sono andato al cinema con una marea di pregiudizi su questa trasposizione, ma dopo la prima mezz’ora, dove effettivamente sembra una copia del suddetto film, cambiano le carte in tavola ed inizia un’avventura a tutto gas per le vie della città.
Sicuramente la trama è più basilare dei vari Fast and furious, gli manca la verve dei personaggi ed una sceneggiatura più forte per rendere omaggio alla bellissima prova da regista di Scott Waugh. Questo è proprio il suo punto di forza…infatti con gli anni la saga più veloce del grande schermo ha cambiato connotati e non ha più il cuore pulsante degli inizi: le corse in auto. In questo film ritroviamo proprio questo, 134 minuti di pura velocità dove le macchine più veloci del mondo gareggiano tra grattacieli e canyon.
Lo spettatore si diverte, e lo fa a tal punto da immedesimarsi nei vari personaggi pensando proprio di guidare in prima persona i vari veicoli da oltre 230 miglia orarie.
Nonostante tutto, anche in questo gioiellino di B movie c’è anche una nota dolente: la recitazione del protagonista. Nonostante ci sono ottimi comprimari (Michael Keaton su tutti) Aaron Paul non è in grado di reggere un’intera pellicola da solo e si vede benissimo. Lui non parla quasi mai ed è tutto incentrato sulla mimica facciale. Ripete le classiche macchiete del suo personaggio di Breaking bad e non si rende conto che non sta recitando in un serial ma si trova sul grande schermo. Bocciatura per lui.
Con una colonna sonora quasi inesistente dove la vera musicalità del film è il rombo assordante dei motori, il film rende giustizia ad una delle saghe di videogiochi più famosa al mondo e nonostante qualche difetto, è un ottimo film di intrattenimento.
Se amate il mondo dei motori e delle corse correte al cinema…non rimarrete delusi!!!!!!

FABIO BUCCOLINI

Una “Migliore offerta” da Oscar!

Nello stesso anno de “La grande bellezza”, un altro grande regista italiano torna alla ribalta con un film che strega e stupisce lo spettatore.

La migliore offerta

Virgil Oldman è un sessantenne antiquario e battitore d’aste di elevata professionalità. Conduce una vita tanto lussuosa quanto solitaria. Non ha mai avuto una donna al suo fianco e tutta la sua passione è rivolta all’arte. Fino a quando riceve un incarico telefonico da Claire, giovane erede di una ricca famiglia. La ragazza, che vuole venga fatta una valutazione degli oggetti preziosi che arredano la sua villa e di cui vuole liberarsi, non si presenta mai agli appuntamenti. Virgil viene così attratto da questa committente nascosta fino al punto di scoprire il suo segreto. Intanto, nel corso dei sopralluoghi, trova nei sotterranei dell’abitazione parti di un meccanismo che si rivela essere di produzione molto antica.

Quando si parla di Giuseppe Tornatore, non c’è mai da stupirsi. Ha sperimentato molti stili cinematografici, non usa mai la stessa troupe e racconta sempre storie difficili da raccontare.

Dopo il suo personalissimo omaggio alla terra di Sicilia con “Baaria”,torna al cinema degli inizi e gira, in segreto, questo piccolo ma grande capolavoro.

Uno dei film più belli di Tornatore. Il grande regista italiano si ispira al maestro del brivido Alfred Hitchcock e gira un film noir a tinte thriller ed a tratti horror.

La parte terrificante della pellicola non è data da scene cruente come ci si può aspettare. L’ansia che prova lo spettatore è dovuta del fattore psicologico.

Il film psicologicamente ti annienta, tutto quello che pensavi fosse vero alla fine si rivela errato e viceversa.

La storia può essere sintetizzata in pochissime parole: spaccati di vita di un uomo distrutto che poi riesce a rimettersi in sesto ma alla fine ritorna nel baratro e si ritrova peggio di prima.

Il tutto girato con grande maestria strizzando l’occhio alle inquadrature e al modo di raccontare che ha reso eterno il maestro del brivido.

Il tutto confezionato ad arte grazie all’ interpretazione di 3 grandi attori che riescono a rendere la storia unica e stupefacente per lo spettatore. Su tutti padroneggia Geoffrey Rush che con la sua interpretazione di Virgil Oldman meriterebbe il secondo Oscar in carriera.

Il film è come le opere d’arte che cerca di raccontare. Un mistero continuo che molto probabilmente  verrà mai scoperto. Una storia d’amore travagliata che diventerà importante solamente quando tutto è scritto e non si può tornare indietro.

In due parole: La migliore offerta è il classico esempio che anche noi italiani riusciamo a fare cinema impegnato e allo stesso tempo commerciale senza cadere nel banale.

Quando vogliamo incantiamo lo spettatore e lo lasciamo incollato sullo schermo.

Tornatore ogni tanto sbaglia, ma girando questa opera si rialza dalle sue ceneri regalandoci uno dei migliori film del  2013.

Da vedere, rivedere e rivedere. CAPOLAVORO.

FABIO BUCCOLINI

“Izombie” dal fumetto allo schermo

Dopo il successo planetario di “The walking dead”, gli zombie sono tornati di moda e già si prepara un’altra serie televisiva incentrata su di loro.

Izombie

 

La Netflix sta alla Marvel come la CW sta alla DC Comics.

A quanto pare nelle ultime ore non si fa altro che parlare della collaborazione tra Marvel e Netflix ma anche la DC ha voglia di far parlare di se anche se con un progetto molto meno impegnativo.

Dalle ultime indiscrezioni sembrerebbe che la nota casa fumettistica ha deciso di prendere il largo nel mondo delle serie TV e, dopo il successo riscontrato con Arrow, ha deciso di trasportare, da fumetto a serial, uno dei progetti più famosi della saga Vertigo, ovvero, iZombie.

Per chi non lo sapesse, Vertigo è una particolare “sezione” della DC Comics che è dedicata ad un pubblico più esigente rispetto a coloro che leggono albi di supereroi.

Vertigo infatti è famosa per aver lanciato il famosissimo V per Vendetta e molti altri fumetti più crudi e non proprio per tutti.

Sarà Il network statunitense The CW a trasportare questo fumetto in televisione: Deadline, infatti, riporta in esclusiva che iZombie, la serie a fumetti edita da Vertigo (in Italia pubblicata da RW-Lion), è in fase di sviluppo, con Rob Thomas(il creatore di Veronica Mars) pronto a portare avanti il progetto insieme a Diane Ruggiero.
Basato sulla serie creata da Chris Roberson e Michael Allred, la storia racconta di Gwen Dylan, una giovane studentessa di medicina che riesce ad ottenere un lavoro presso l’ufficio di un medico legale e garantirsi l’accesso a cervelli freschi, che è costretta a mangiare, almeno una volta al mese, per mantenere la sua umanità. Ma per ogni cervello mangiato la ragazza eredita anche i ricordi dei defunti; così, con l’aiuto del suo superiore, decide di collaborare con la polizia per indagare su casi di omicidi irrisolti: l’unico modo per placare le voci inquietanti che ha testa e che chiedono solo giustizia.

La CW ha capito subito che iZombie ha il potenziale necessario per diventare una serie di successo e, visto che i non-morti stanno godendo di una “nuova vita” cinematografica, televisiva e fumettistica, i produttori del network di proprietà della Warner Bros e della CBS hanno ben pensato di sfruttare un franchise della DC Comics/Vertigo per accontentare sia i nerd più accaniti che i fan dei morti che camminano.

Dalle prime notizie la storia non dovrebbe diversificarsi più tanto da quella del fumetto. L’unica differenza è che, per il momento, non c’è nessun accenno a Ellie (lo spettro che accompagna la protagonista nelle sue avventure) e su tutti i bizzarri coprotagonisti apparsi sul fumetto.

Speriamo che gli screenwriter riescano a rimanere abbastanza fedeli alla storia originale…

 

FABIO BUCCOLINI

“Riddick”, la rinascita di un antieroe

Dopo una lavorazione complicata, a nove anni dall’ultimo capitolo della saga, il terzo capitolo delle avventure del nostro caro antieroe furiano interpretato da Vin Diesel prende vita.

riddick

 

“Pitch Black” e “The chronicle of Riddick” sono due film molto diversi. Se il primo ha la forma di un vero e proprio action movie, pur di stampo fantascientifico, il secondo delude principalmente perché cerca di costruire e ampliare una mitologia dimenticando il punto di partenza stesso dal quale parte, ovvero l’eroe d’azione.

“Riddick”, il terzo episodio arrivato dopo una tormentata lavorazione, ha un grande pregio: tenta in tutti i modi di farci dimenticare il secondo film diventando in realtà una avventura a sè (non è necessario aver visto i primi episodi per godersi la storia). Non mancano i riferimenti agli altri due film, ma non sono essenziali, sono più una premessa.

La trama è pienamente coerente con l’intento del film: Riddick viene tradito da Vaako che gli promette di mandarlo a Furya e invece lo spedisce su un pianeta ostile con l’intenzione di farlo giustiziare. Invece per il Furiano è l’occasione per un ritorno alle origini, e in questo luogo infestato da creature assassine e inquietanti finisce per ritrovare se stesso e il proprio istinto di sopravvivenza. L’alternarsi di umorismo e azione (talvolta brutale, nella migliore tradizione di questo genere) conferisce al film  un tono più vicino a quello di “Pitch Black” che a quello del serioso secondo episodio.

Ma come si arriva alla creazione di un antieroe? Ce lo spiega direttamente il regista (già sceneggiatore di “Critters 2” e “Warlock – Il signore delle tenebre”)che annovera nella propria filmografia il “Pitch black”, concepito a basso costo, che a lanciato un ancora sconosciuto Vin Diesel nel universo delle stelle più apprezzate di Hollywood.

“Si fa in modo – spiega – che il personaggio si evolva gradualmente. Per la prima mezz’ora di “Pitch black”, per esempio, Riddick non dice neppure una parola, ma questo non fa che accrescere il suo carisma. E, quando parla, sceglie con cura le parole”.

Un personaggio che è entrato di diritto nel cuore dei fan della fanta-azione.”In “Pitch black” – continua – seguiamo la trasformazione di Riddick da killer a eroe positivo, ed è così che lo ritroviamo all’inizio del secondo film; mentre “The chronicles of Riddick” – conclude –  è incentrato su una analisi più approfondita del personaggio, che assume via via un ruolo sempre più importante per le sorti dell’universo”.

Il regista David Twohy (costruendo atmosfere più volte confrontabili con quelle di Predator) lavora molto bene sul piano della tensione.

Tecnicamente, questo terzo capitolo,  pur essendo girato con mezzi limitati, riesce ad essere molto credibile. Gli effetti visivi e il creature design funzionano bene, ma è soprattutto nella chimica tra i personaggi che la pellicola convince: personaggi, ovviamente, che più bidimensionali non si può, ma, per questo genere di lungometraggi,  più che l’approfondimento psicologico è richiesta una buona dose di frasi a effetto, cosa che a “Riddick” non manca.

Insomma, per gli amanti del genere il film non deluderà, anche se non si tratta né di un opera memorabile ne di un passo avanti nella mitologia della saga.

 

FABIO BUCCOLINI

“Gravity”, il film che veramente avrebbe meritato l’Oscar

Nonostante la notte degli oscar abbia premiato come miglior film un grande capolavoro storico come 12 anni schiavo, Gravity avrebbe meritato la tanto ambita statuetta anche solo per la grande ambizione del progetto sche ha aperto la strada ad un nuovo modo di fare cinema.

Gravity

La dottoressa Ryan Stone è un’esperta ingegnere biomedico che affronta per la prima volta una missione nello spazio. Assieme a lei sullo Space Shuttle l’astronauta Matt Kowalsky, il comandante, in quella che sarà la sua ultima missione prima di andare in pensione. Durante una passeggiata all’esterno dello Shuttle per alcuni lavori di manutenzione sul telescopio spaziale Hubble, vengono colpiti da un’onda di detriti di un satellite russo esploso nello spazio. I detriti distruggono la navetta spaziale e uccidono gli altri membri dell’equipaggio, lasciando i due da soli alla deriva nello spazio, senza comunicazioni con la base di Houston dato che anche i satelliti che garantivano i ponti radio sono stati danneggiati. Da questo momento in avanti iniziera una lotta contro la morte per riuscire a tornare sulla terra.

Una produzione durata parecchi anni quella di questa pellicola innovativa. La sceneggiatura scritta dal regista Alfonso Cuaron insieme al figlio, era pronta già da parecchi anni, ma nessuna casa di distribuzione aveva avuto il coraggio di mettere in cantiere un film ambientato sullo spazio e con due soli attori.

Dopo anni di stallo, finalmente nel 2010 la Warner compra i diritti della pellicola e grazie all’aiuto di tecnologie ma sperimentate prima il film ha visto la luce.

Gravity è stato tutto un terno al lotto, si sono varcati dei confini che mai nessuno prima aveva immaginato di oltrepassare. Gli effetti speciali sono la vera chicca e sono così meravigliosi grazie alla collaborazione della NASA che ha seguito tutta la lavorazione dell’opera concedendo immagini inedite e aiutando a fare diventare questa finzione cinematografica più vicina alla realtà.

La cosa più difficile è stata quella di creare il gioco d’ombre che gli spettatori osservano sul casco degli astronauti. Non avendo riferimenti spaziali, hanno dovuto creare tutto con la computer grafica e alla fine sono riusciti a dare un immagine quasi reale degli astronauti nello spazio.

La sceneggiatura può sembrare vista e rivista, ma il suo punto di forza è appunto l’ambientazione. Una classica storia di vita, di morte, di malinconia e dolore. Se fosse stato il classico film “drammatico” tutto questo non avrebbe toccato lo spettatore, ma vedendo i 2 personaggi vagare nello spazio con la consapevolezza che (molto probabilmente) la loro fine sia vicina fa immergere completamente chi guarda nella storia e riesce a far assorbire allo spettatore gli stati d’animo dei poveri astronauti.

Ovviamente il film, per quanto reale sia, non è assolutamente come la realtà. Ci sono molte parti in cui si è pensato più che altro alla forza scenica delle immagini che alla realtà, ma ovviamente un film resta sempre finzione e il suo obbiettivo primario è quello di divertire lo spettatore e far provare qualcosa ad esso durante la visione. In questo Cuaron, aiutato da due grandi attori in stato di grazia, è riuscito in pieno. Ha composto una vera e propria opera d’arte sulla morte,lo spazio e la voglia di non fermarsi davanti agli ostacoli ma di combattere fino alla fine.

Nonostante tutto questo, la commissione degli Accademy Award non ha reputato giusto far vincere a Gravity la statuetta come miglior film. Certo, l’innovazione fa paura e a volte per non essere contestati conviene andare sul sicuro.

D’altronde negli ultimi anni ad Hollywood se vuoi vincere un Oscar basta girare una pellicola che parla di schiavitù, storia, oppure fatti realmente accaduti.

Senza nulla togliere a queste pellicole, sicuramente stupende, io mi sono stancato del classicismo e voto l’innovazione: GRAVITY MIGLIOR FILM DELL’ANNO.

Da vedere, rivedere e rivedere di nuovo. Un capolavoro che rimarrà negli annali della cinematografia e che sarà da esempio alle future produzioni.

FABIO BUCCOLINI

“300 L’alba di un impero”: un pomposo film estremamente trash

Seguito dello steroideo 300, datato 2007, il film non cambia niente della precedente pellicola e cade molto spesso nel sottogenere trash senza però ricevere le lodi che sono arrivate ad altre pellicole come Machete.

300 - l'alba di un impero

Nel 480 avanti Cristo, il generale greco Temistocle si ritrova alla guida delle forze militari ateniesi a combattere contro l’esercito degli invasori persiani, guidate dal mortale divenuto dio Serse. Con astuzia e tattica, Temistocle pianifica una battaglia navale destinata a passare alla storia. Il film racconta gli eventi avvenuti durante la battaglia di Capo Artemisio tra Greci e Persiani, svoltasi negli stessi giorni della battaglia delle Termopili. Fra i protagonisti della trama c’è anche la regina di Caria Artemisia, alleata di Serse  di Persia.

Questa pellicola non si può classificare con un termine ben preciso, infatti non è ne prequel ne sequel. Gli avvenimenti raccontati avvengono parallelamente a quelli già raccontati nel iper-muscolare 300.

Quando nel 2007 il suo predecessore, costato 65 milioni, ha incassato oltre 400 milioni in tutto il mondo, era assolutamente scontato che le grandi case di produzione mettessero in cantiere un secondo capitolo.

Una mossa molto azzeccata, che ha fatto la warner pensando al film, è stata quella di sviluppare la seconda storia basandosi su un’altra grafic novel di Frank Miller (già autore di 300) intitolata Xerse.

Infatti il punto di forza dell’intera pellicola è la trama che riprende a pieno l’anima del fumetto originale. Ne amplifica i lati oscuri e smagrisce tutte le parti inutili e relativamente noiose anche se…il film è molto meno “action” del primo.

Questa lode, dovuta soprattutto ad una sceneggiatura di ferro scritta a quattro mani dallo stesso Miller insieme a Zack Snyder (regista e autore del primo 300), non fa però di questo L’alba di un impero un capolavoro…anzi!

Lo stile registico di Noam Murro è una brutta coppia di quello di Snyder, il sangue a fiumi viene amplificato in qualsiasi scena e alla fine stanca ma soprattutto il livello attoriale è quasi sotto il livello di guardia.

Il regista non fa altro che copiare la vecchia opera e dato che viene dal mondo dei videoclip da un tocco troppo confusionario all’intera opera. Gli attori sembrano recitare con il copione in mano e a parte la bellissima Eva Green che innalza il livello recitativo (non lasciando niente di lei all’immaginazione) il resto del cast non sembra impegnarsi per niente e recita con lo stampino senza dare profondità ai personaggi.

Con le sue immagini forti e molto pittoresche, sfocia molto spesso e volentieri nel sottogenere, molto in voga ultimamente ad Hollywood, trash. Con i suoi fiumi abbondanti di sangue sembra di seguire un episodio di Spartacus unito alla violenza irrazionale e iper alimentata di classici del genere come Machete o come tutto il progetto Grindhouse di Tarantino e Rodriguez.

Non riesce bene a collocarsi in esso ma tutto sommato con le sue situazioni fuori da ogni logica riesce a divertire.

Nonostante queste gravi pecche, non si può cmq dire che il film è inguardabile. Nelle sue quasi 2 ore di durata il film scorre abbastanza bene e riesce nel suo compito di intrattenere lo spettatore.

Il finale fa presagire un altro capitolo e l’unica cosa che ci auguriamo è che si trovi un regista (speriamo di nuovo Snyder) che riesca a dare più spessore e “bellezza” alla nuova presunta opera.

Una chicca: Nei titoli di coda si può ascoltare la bellissima War pig dei Black Sabbath.

FABIO BUCCOLINI

“Giovane e bella” la visione dell’odierna gioventù di Ozon

“A diciassett’anni non si può esser seri, se ci son verdi tigli lungo la passeggiata”. Così scriveva Arthur Rimbaud. Non a caso i suoi versi sono analizzati nelle lezioni frequentate dalla diciassettenne Isabelle, la giovane protagonista di “Giovane e bella”, il nuovo film di François Ozon già presentato in concorso al Festival di Cannes.

giovane e bella

Isabelle è interpretata dall’attrice e modella francese di avvenenza sublime Marine Vacth.

È un’adolescente che sta sbocciando come donna. Sente il suo corpo in cambiamento e tutte le capacità seduttive in rigoglio. Nel primo rapporto sessuale con un ragazzo, durante le vacanze estive, scopre come può dare piacere e nello stesso tempo sentirsi distante da quella ragazza lì nuda che è lei stessa. Si sente quasi sdoppiata e da lì probabilmente matura il suo futuro.

Senza un perché apparente, senza alcuna necessità economica, decide di prostituirsi e diventa Lea. Si concede in albergo a uomini di tutte le età, pretendendo laute cifre: è come se volesse dare un valore economico, alto, al suo corpo. Come se volesse scoprire quanto un uomo sia disposto a dare per averla, quanto la sua bellezza può.

Tra i suoi clienti si distingue Georges, molto attento e gentile, l’unico che si lascia andare a qualche confidenza sulla sua famiglia. La osservano intanto sua madre, il suo compagno e il fratellino che la adora.

Ogni stagione della vita di Isabelle è accompagnata da una canzone della cantante francese Françoise Hardy.

È la terza volta che Ozon ricorre a suoi brani, aveva già usato Traüme in Gocce d’acqua su pietre roventi e Message personnel in 8 donne e un mistero. “Quello che amo in particolare nelle sue canzoni  – spiega il regista – è la sua capacità di trascrivere l’essenza dell’amore adolescenziale, un amore infelice, disilluso, romantico”.

Ozon intanto lascia fluire la narrazione senza giudizio. È un osservatore e probabilmente, come la madre di Isabelle e lo spettatore, anche lui non capisce le motivazioni che spingono Isabelle. Il mistero dell’adolescenza si muove sotto il suo sguardo.

La protagonista non prova vergogna per quello che fa, non è pentita neanche quando viene scoperta e i suoi occhi sono fieri e provocatori di fronte alla madre e al patrigno.

Ozon, che sempre si distingue per originalità di visione, ci consegna uno studio sfumato e temperato di una gioventù, quella odierna, precoce.

 

FABIO BUCCOLINI

“La grande bellezza”, un opera complessa che fa risorgere il cinema italiano e che conquista un meritatissimo Oscar

Una pellicola ambiziosa quella di Paolo Sorrentino, che può essere considerata il “sequel” ideale de “La dolce vita” di Federico Fellini, ispirazione del regista Napoletano.

La grande bellezza

 

Il regista non racconta storie, ma ritrarre Roma che, più di ogni altro ambiente, mostra allo spettatore la contraddizione di un luogo meraviglioso e al tempo stesso orrendo.

Sorrentino orchestra l’intero film rimanendo fedele a questa premessa. Mescola continuamente immagini stupende, con convulse scene della più bassa vita umana, mentre parallelamente la colonna sonora alterna canti gregoriani a versioni remixate-house della Carrà.

Roma è perciò l’ambientazione giusta della storia di Jep Gambardella, scrittore di grido che, giunto a sessantacinque anni, è sulla cresta dell’onda da decenni per uno straordinario romanzo giovanile, cui non ne seguirono altri; giunto a Roma ventiseienne, Jep è ora il re della mondanità cittadina, nella quale si è immerso in una sorta cupio dissolvi divenendone parte integrante, eppure estranea, senza scrivere più nulla, se non articoli per giornali prestigiosi.

Il protagonista delineato da Toni Servillo, come sempre superlativo, è un personaggio complesso, affascinante nella sua malinconia crepuscolare, di un livello intellettuale e spirituale elevato, ma immerso profondamente nella vita che conduce, un gentiluomo nostalgico, brillante e tormentato. Jep guida gli spettatori,  come una sorta di Virgilio capitolino, in un inferno umano che è la società romana, vera e propria galleria degli orrori dove incontriamo modelle cocainomani e soubrette fallite, pseudo-intellettuali radical-chic e imprenditori sessuomani. Ciò che emerge da questo viaggio al termine della notte è una società mediocre e squallida, la cui bruttezza è chiamata a scontrarsi contro la “grande bellezza” che il protagonista custodisce in sé e cerca costantemente di trovare e ritrovare.

Alla magnificente prova d’attore di Servillo, alla sua quinta collaborazione con Sorrentino, si affiancano, volando assai più bassi, numerosi e famosissimi attori italiani, che il regista è assai abile nell’utilizzare più per la loro fisicità che per effettive capacità attoriali.

Molti gli intrecci narrativi della vicenda:  forse troppi. Come, forse sono troppi i personaggi.

Forse il limite del film sta un po’ nel soggetto: Sorrentino costruisce moltissimi sotto-plot che nella complessiva durata di 142 minuti, tolgono un po’ di forza alla pellicola e la rende, in alcune sue parti noiosa.

Ma una regia impegnata, una sceneggiatura di ferro e una  colonna sonora perfetta riescono ad elevare questa pellicola ad un altro livello facendo passare in secondo piano le lacune e rendendola praticamente perfetta.

Finalmente una pellicola che riporta il cinema italiano alla gloria che mancava in Italia dalla scomparsa dei grandi maestri come Fellini.

 

FABIO BUCCOLINI