Archivio mensile:gennaio 2020

I film dimenticati. “Fight club” il capolavoro incompreso di David Fincher

Fischiato e deriso alla sua uscita, acclamato in seguito all’uscita in home video, “Fight club” rappresenta il disagio della società moderna.

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“Fight club” si svolge con tono di commedia nera raccontando la vita di un impiegato divenuto nevrotico e infelice a causa dell’oppressione da parte della società.
Quando è uscita nelle sale cinematografiche questa pellicola ha suscitato molte polemiche. Nonostante non abbia avuto un grande successo al botteghino, dopo l’uscita in home video, grazie al passaparola è diventato un vero Cult Movie e Tyler Durden è diventata l’icona di molti giovani.
Dopo i sette peccati capitali di “Seven”, Fincher colpisce ancora…E colpisce sul serio. Crudo e violento al punto giusto, sembra essere il tentativo di analizzare i meandri più profondi della psiche umana prendendo come cavia un insonne consulente per una casa automobilistica (Edward Norton) che sembra trovare un pò di pace nella sua frustrazione frequentando corsi d’ascolto per affetti da malattie incurabili. Il protagonista si troverà di lì a poco alle prese con il suo alter-ego (Brad Pitt), che si rivelerà presto come tutto ciò che avrebbe voluto essere e che non è riuscito a diventare. Dopo una serie di eventi i “due” fonderanno un club dove le persone possono combattere senza regole e senza conseguenze e tutto questo per divertimento. La violenza in “Fight Club” è lo sfogo: la sua componente taboo svanisce per lasciar posto a quella perversa e divertente. Un tocco registico unico ed esilarante con un contorno di un’interpretazione magistrale da parte di Norton e di Pitt che mostrano ancora una volta un’abilità geniale e superba, hanno reso questo film uno dei più grandi capovalori del cinema moderno.
Decadente, ironico, cinico, “Fight Club” è tutto questo e molto ancora. E’ l’odissea di un uomo comune alla ricerca di se stesso; è anche la piccola-grande rivoluzione di quell’uomo nei confronti del mondo che lo circonda. E’ “Taxi Driver” ma corretto e riveduto, aggiornato all’epoca contemporanea. E’ il paradigma di ogni nevrosi che tortura l’uomo moderno: paura delle malattie, frustrazioni sul lavoro, un amore catastrofico ed autodistruttivo.
Un film cattivo e nichilista condito da una violenza fuori dal normale, che lo rende realisticamente duro e crudo, pieno di risvolti psicologici e denunce verso una società oramai in ginocchio.

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Fincher è a dir poco magistrale nell’ interpretazione del romanzo. Egli, infatti, rappresenta egregiamente le atmosfere cupe di Palahniuk, i crudissimi combattimenti del Fight Club e la spaventosa ambiguità del protagonista, riuscendo dove molti altri avrebbero sicuramente fallito. Rimodellando il finale per un effetto “più realistico” il nominato regista dimostra a tutti la sua vera bravura; riesce a creare un film iconoclasta, emblema dell’anticonformismo diventando immediatamente un film di culto. A contribuire ancor di più al successo sono gli attori. Brad Pitt è sublime nel suo ruolo, perfetto nei panni del pazzo anarchico e furioso sfoggia per il 90% del film tutta la sua bellezza interpretativa e il fisico marmoreo che forse un po’ cozza con i tanto acclamati ideali Durdeniani; un Norton a suo agio nei panni dello schizofrenico, messo un po’ in disparte dal compagno, dimostra comunque un notevole talento e una grande espressività. A chiudere il cerchio una Helena Bonham Carter che rappresenta tutto l’universo femminile di cui necessita il protagonista, dotata di un carisma fuori dal comune e di una femminilità fuori dal convenzionale. Un capolavoro sotto diversi punti di vista, denso di significati e di critiche verso uno stile di vita, racchiudendo in sé tutto il talento letterario di Palahniuk e arricchito dalla bravura di un Fincher in grande forma.
Un cult del cinema di fine millennio che nessuno dovrebbe perdersi.
E ricordate…dopo aver visto “Fight Club”, non dite a nessuno di averlo visto: è la regola.

FABIO BUCCOLINI

“Dracula”: la miniserie Netflix che convince ma…delude

Gli autori di “Sherlock” tornano alla ribalta con un nuovo progetto, riscrivere la storia del succhiasangue più famoso della storia della letteratura.

Dracula poster

Portare sul piccolo schermo una storia come quella di Dracula non è un progetto facile. Il racconto del conte è complesso, particolare e soprattutto chi ci avrebbe provato, deve fare i conti con il “Dracula di Bram Stoker” di Francois Ford Coppola del 1992.
Gatiss e Moffat ci provano, mettono il loro estro a disposizione del romanzo di Stoker e ne viene fuori un racconto gotico/moderno che convince ma solo a metà.
Dopo aver visto il primo episodio, ci si rende conto di quanto questo nuovo Dracula sia un degno tributo al vecchio conte, tanto rispettoso delle sue origini e del suo essere più profondo, quanto innovativo. La prima parte procede veloce e il personaggio della suora (sicuramente fuori dal comune perché senza fede e appassionata di occulto) è un ottimo antagonista. Il secondo episodio sembra inizialmente avere la stessa struttura del precedente; il segreto da scoprire è ciò che è successo sulla nave Demeter, in rotta verso l’Inghilterra. I 90 minuti assomigliano molto a un giallo di Agatha Christie. Se già in questo secondo capitolo la storia inizia a vacillare, il terzo episodio, che si svolge in un’ambientazione inaspettata (senza spoilerare niente), è purtroppo il punto più basso della miniserie.
L’impronta dei due autori si nota sin da subito: nei personaggi e nei loro dialoghi, nella costruzione ed evoluzione della storia, nei toni. C’è un grosso “ma”: la visione di Gatiss e Moffat si allontana sia da quella del romanzo originale di Bram Stoker, sia dalle varie rivisitazioni cinematografiche. Ciò nonostante, i primi minuti sembrano voler andare proprio nella direzione di Coppola, poi il racconto si evolve in direzioni poco coerenti con un finale che lascia perplessi e, per certi versi, insoddisfatti. C’è forse nei piani un secondo atto? L’ipotesi spiegherebbe alcuni vuoti e quella sensazione di incompiuto che si avverte sui titoli di coda.
Se qualche difetto questa miniserie ce l’ha, è anche vero che la magistrale interpretazione di Claes Bang ci fa chiudere un occhio sulle pecche della co-produzione di BBC e Netflix.

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Claes Bang regala una interpretazione straordinaria, premiata dalla assoluta centralità che viene data al suo eclettico conte Dracula: ironico, istrione, selvaggio, filosofo, gentiluomo, mostruoso e affamato (di conoscenza e virtù); arricchito dalle tante somiglianze con le versioni di Christopher Lee o di Bela Lugosi più che con il conte di Gary Oldman.
Il suo contraltare è l’indomita e sempre sopra le righe suor Agatha , attratta dall’oscuro e dal malvagio e decisamente delusa da Dio. È lei la figlia prediletta dei due creatori, attraverso la quale operano chirurgicamente sullo sviluppo della serie e possono armeggiare con i loro giocattoli preferiti.
Qui lo scopo è di avventurarsi in una rivisitazione totale del personaggio di Dracula e dall’immaginario a lui legato, prendendone le distanze e cercando di superarlo.
Non aspettatevi un Dracula alla Gary Oldman o una regia perfettamente bilanciata come quella di Coppola, ma nell’universo televisivo attuale questo omaggio al conte può definirsi riuscito.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Loro” l’Italia secondo Paolo Sorrentino

A quasi due anni dall’uscita nelle sale“loro”, il dittico di Paolo Sorrentino sulla vita di Silvio Berlusconi, è scomparso dalla circolazione.

Loro poster

“loro”, il progetto del regista premio Oscar sulla vita di Silvio Berlusconi è praticamente caduto nel dimenticatoio. Grande attesa per questa pellicola che ottenne un notevole riscontro di pubblico e critica ma che al momento è visibile solo nei circuiti “underground” oppure acquistando un dvd edizione estera. Sembra che in Italia abbia avuto la stessa fine, se pur in maniera estremamente diversa, del film di Ciprì e Maresco “Totò che visse 2 volte”.
Iniziamo con il dire che l’aneddoto di film basato sulla figura di Berlusconi e più che altro un pretesto per invitare gli spettatori in sala. Infatti la pellicola è un racconto dell’Italia degli ultimi 20/30 anni. Allora vi chiederete: perché sfruttare la figura di una delle personalità imprenditoriali e politiche più controverse? Semplice; perché silvio Berlusconi è italiano e lo scopo di Sorrentino è di fare film sugli Italiani. Berlusconi è un archetipo dell’italianità e attraverso lui puoi raccontare gli italiani.
Distribuito nei cinema in due parti distinte scritto da Sorrentino assieme ad Umberto Contarello e basato su un soggetto dello stesso Sorrentino, “Loro” trae spunto da eventi realmente accaduti e da personaggi esistenti per rivelarsi però un’opera di pura finzione, senza intenti cronachistici o documentaristici.
Il regista realizza un biopic atipico non convenzionale e plasma la sua opera come una sorta di commedia nera, poco interessata a sviluppi agiografici o a giudizi morali sui personaggi coinvolti. Diviso in due parti solo per ragioni distributive ma considerabile come un film unico, tende a smarcarsi da alcuni degli stilemi legati alla produzione del regista, con una messa in scena che rimane complessa e curata ma anche più compiuta e lineare, attraverso una regia più semplice ed essenziale rispetto ai noti vezzi stilistici del regista napoletano.

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Se “Loro 1” costituisce una grottesca rappresentazione di tutto ciò che è “finto” e volutamente kitsch, “Loro 2” rinuncia a un possibile discorso metacinematografico legato al precedente cinema di Sorrentino, ma prosegue invece con coerenza nella lucida descrizione della società come un eterno show televisivo e come una continua illusione, marciando con precisione lungo il solco tematico tracciato dalla prima parte. “Loro 2” appare meno artificioso rispetto al primo capitolo, ma è incentrato comunque su un immaginario volutamente “basso”: l’immaginario da Tv trash e palesemente artificiale.
Con tutta l’operazione, Sorrentino pare offrire una visione della vita come un’enorme e articolata messa in scena: uno spettacolo in prima serata che viene assunto come realtà da tutti i suoi attori, siano essi protagonisti o comparse. Nel microcosmo malinconico e triste di “Loro”, Sorrentino cerca di mostrare il falso e la finzione come valori fondanti, l’ossessione dell’apparire in un mondo in cui qualunque cosa può essere definita una recita.
In questo discorso, forse divisivo ma comunque coerente, il Berlusconi di Servillo (che si sdoppia anche nel misterioso Ennio, sorta di alter-ego dello stesso Berlusconi) è dipinto a metà tra uno show-man da strapazzo e un imbonitore alla ricerca di attenzioni, anch’egli al centro di un perenne palcoscenico, personaggio tragicomico alla ricerca della costante approvazione degli altri. In entrambe le parti abbiamo il varietà, lo show in prima serata su una qualunque rete televisiva, il modo di atteggiarsi e di vivere, il Berlusconi barzellettiere che afferma di conoscere il copione della vita, di intuire desideri e dolori dei clienti, e afferma che voleva essere il più ricco del paese, il capo del Governo, amato da tutti. Ma a differenza di “Loro 1”, in cui lo sguardo filmico era basato sulla falsità e l’esasperazione, in “Loro 2” si assiste allo scontro tra l’artificio e una realtà capace di svelare le menzogne e di minare le false certezze: dal rifiuto di una giovane al crollo di un rapporto privato, fino al crollo pubblico e ben più tragico. Se “Loro 1” sanciva il trionfo della bugia, “Loro 2” racconta l’annullamento di qualunque costruzione, il fallimento dell’immaginario superficiale e fasullo, la sconfitta della cultura dell’apparenza a fronte della solitudine: una realtà, quest’ultima, difficile da affrontare per tutti.
Se con la prima parte si nota la falsità, o per lo più i sogni infranti degli italiani, tutto quello che noi vorremmo essere, nella seconda parte Sorrentino ci riporta alla realtà e ci dimostra che non è tutto oro quello che luccica.
Un’opera fatta per gli italiani, basata sull’Italia odierna e diretta magistralmente da un italiano.
La verità e che non ne sappiamo abbastanza.

FABIO BUCCOLINI