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I film dimenticati. “Climax” l’horror secondo Gaspar Noé

Il nuovo film di Gaspar Noé è la folle notte di un gruppo di ballerini, fra eros e droghe, in un’inarrestabile discesa negli abissi del delirio.

Climax poster

Da un certo punto di vista Gaspar Noé, più che un regista, potrebbe essere visto come un dj. D’altronde i suoi film sono un po’ come un invito a ballare: l’unica cosa che lo spettatore deve fare è decidere se lasciarsi trasportare dalla musica e dalle luci psichedeliche oppure se abbandonare il locale per evitare il mal di testa. Non ci sono mezze misure o sfumature; è difficile poter pensare di rimanere seduti in disparte a guardare gli altri che ballano. E forse, mai come con “Climax”, il regista argentino è riuscito a tradurre questa sua idea di cinema per immagini. Il film viene definito come un mashup tra “Step Up” e “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. È un paragone tanto bizzarro quanto calzante per dare un’idea dell’opera di uno degli autori più controversi del cinema contemporaneo, girata in appena due settimane in una scuola abbandonata della periferia di Parigi e presentata alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2018. Un film radicale fin dalla sua impostazione, che il regista franco-argentino trasforma in un’allucinata parabola di frenesia e di morte sviluppata nel corso di novanta, frastornanti minuti.
“Climax” è uno di quei titoli che puoi amare o odiare: il fascino è direttamente proporzionale alla repulsione. Forse è una sfida fare tanti film mutanti tutti insieme. Che ribaltano il concetto di tempo. in un unico spazio. Dove comincia? Dove finisce? La nascita e la morte. L’euforia e la disperazione. Quest’opera è frenesia, estasi, tormento e tenebre. Potrebbe partire dalla fine. Come “Irréversible”. Un ventina di giovani ballerini si riunisce per uno stage di tre giorni in un collegio in disuso. Ballano, si ubriacano, sembrano tutti su di giri. Poi c’è qualcosa nella sangria. E il clima cambia rapidamente.

Climax

Un vortice visivo che tende a risucchiare personaggi e spettatori in un’escalation di sensazioni ed eventi senza via d’uscita. Un ballo mortale in cui i corpi progressivamente si deformano, perdono la propria unicità e grazia, diventando un magma di carne, sudore e sangue di cui a tratti sembra quasi di sentirne l’odore. Un climax viscerale orchestrato per mettere ancora una volta al centro del discorso l’inesorabile forza distruttiva del tempo che, come un inarrestabile conto alla rovescia, travolge ogni cosa riportandola al punto di partenza. Visivamente potentissimo. Strutturalmente estremamente audace. Con un piano sequenza inarrestabile in un ballo collettivo senza respiro. Tra Erik Satie e i Rolling Stones. In un clima di festa, di colori che esplodono. Un massacro di cui Noé ci rende spettatori, ma mantenendo sempre un netto distacco emotivo rispetto a personaggi di cui sappiamo poco e nulla: è l’assunto di un film in cui il coinvolgimento sensoriale – i suoni, le luci, i colori, il dinamismo dell’azione – surclassa quello emotivo. Un film concepito come un tenebroso baccanale, in cui la dimensione dionisiaca sconvolgerà qualunque ipotesi di razionalità e di ordine, fino al rovesciamento (letterale) di questo microcosmo circoscritto, teatro di un rituale orgiastico destinato a culminare in un inevitabile tributo di sangue.
Gli eccessi sono la parola d’ordine in questo dramma dalle derive ironiche, grottesche, dai sussulti thriller, con il destino di alcuni comprimari che provoca una crescente suspense mista a disagio e diverse sequenze che sono già diventate cult.
Dopo un viaggio istintivo e puramente emotivo come quello proposto da “Climax”, nel momento in cui la musica finisce e le luci si riaccendono, restano nella mente sensazioni, flash e sonorità confuse; ma il rischio è che tutto venga dimenticato in fretta, che di indelebile rimanga poco: perché il cinema di Gaspar Noé è un’esperienza al contempo travolgente e fine a se stessa, ipnotica e respingente, geniale, divertente, estrema e…gratuita.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Love”, l’amore secondo Gaspar Noè

Presentato al Festival di Cannes 2015, l’ultimo lavoro di Noè gridava allo scandalo ancor prima di “nascere” ma nonostante le tante scene di nudo, il film si può definire una classica storia romantica vissuta fino in fondo.

Love locandina

Il film di Gaspar Noé passerà alla storia come primo film “d’autore” a proporre eiaculazioni in 3D.
Questa cosa è veramente triste, infatti non solo gran parte della pellicola è autobiografica (Gaspar Noé si diverte a infarcirlo di riferimenti alla sua vita personale e alle proprie ossessioni), ma finalmente qualcuno è riuscito a raccontare una storia d’amore senza censure dove l’iperrealismo fa da padrone. Lo sguardo di Noè sull’amore e sul sesso, sul sentimento e la passione e sulle dinamiche che li rendono appassionati è maturo e consapevole, non come un liceale alle prime armi; Noé non si nasconde affatto e il suo “Love” è un film che parla del sesso in termini sentimentali senza tralasciare niente.
Questa la trama: “Murphy ha sposato Omi con un matrimonio riparatore, poichè Omi è rimasta incinta della loro figlioletta durante un rapporto non protetto. Quel rapporto occasionale è stato la causa della drammatica rottura fra Murphy e il suo grande amore, Electra. La mattina del primo dell’anno la madre di Electra telefona a Murphy e lo informa di non avere più notizie della figlia, ed essere preoccupata perchè la ragazza soffre di tendenze suicide. Nell’arco di 24 ore Murphy ripercorrerà con la memoria le tappe della sua folle passione per la sua ex anima gemella, cercandone il perdono”.

Love
Storia d’amore sotto ectasy e cocaina, “Love” è il viaggio a ritroso di Murphy nella storia d’amore con la parigina Electra, aspirante artista dal passato burrascoso e il presente inquieto; un amore fatto di slanci ultraromantici e di tanto, tanto sesso fatto per passione, fatto per rabbia, fatto per provocazione, per sperimentazione. Sesso filmato da Noé con cognizione, che non risulta mai davvero pornografico.
Unico elemento inutile è il 3D., o meglio, l’assoluta inutilità della sua presenza fatta eccezione per una scena che giustifica le parole di chi cerca di vendere Love come un porno tridimensionale. Per il resto, la terza dimensione non serve a nulla.
Noè riesce a mettere in evidenza il suo pensiero senza tanti ghirigori, e imbastisce un delirio autoriale di 135 minuti dove nulla è lasciato al caso, ne sul piano narrativo ne su quello stilistico; la musica è sublime (vedi la sequenza dell’orgia, il cui accompagnamento sonoro è il tema scritto da John Carpenter per Distretto 13 – Le brigate della morte).
Il tutto in nome del realismo puro e crudo tanto amato del regista che confeziona la sua opera più personale e autoreferenziale.
Insomma come tutti i film dell’autore franco/argentino, è molto particolare e farà discutere.
“Love” o lo si ama o lo si odia, a voi l’ardua scelta!!!

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Enter the void” il viaggio psichedelico di Gaspar Noé

“Sperimentale”, è questa la parola più adatta in riferimento a quest’opera; dramma psichedelico e allucinatorio che conferma praticamente tutto il bagaglio cinematografico già messo in mostra dall’autore: sesso e violenza senza soluzione di continuità oltre a una massiccia dose di spettacolarizzazione visiva.
enter the void
In “Enter the void” non è tanto ciò che si vede a devastare, bensì proprio ciò che si lascia intendere. Questo film è duro. L’effetto è quello di una moltitudine di pugni ben assestati allo stomaco. Una visione che lascia tramortiti e che si fa forte di temi tanto cari a Noé. Uno su tutti, il complesso di Edipo. Qui torna ad essere riproposto, ma rielaborato e scaraventato in faccia a noi tutti con una violenza brutale, a tratti insostenibile.
Il manierismo del regista si vede soprattutto tramite le tecniche di ripresa utilizzate: la soggettiva e l’uso della cinepresa a mano che è il suo cavallo di battaglia (già ampiamente usata in “Irréversible”). Il montaggio si plasma perfettamente ai movimenti della macchina da presa, le sonorità sono ipnotiche, le luci stroboscopiche e la stupenda fotografia contribuiscono a creare una Tokyo eterea e maledetta.
Creatività e conformismo sicuramente non mancano in questa pellicola, ma la domanda sorge comunque spontanea…quale è la vera essenza di “Enter the void”? A mio parere, questo è un film che va vissuto come un’esperienza sensoriale straordinaria, è una sorta di inno alla sensorialità prodotta dall’uso degli stupefacenti, in un complesso edipico che è la causa di un’ostentazione del proibito che sfida pornografia e gore. Il tutto racchiuso in una durata che supera i 150 minuti.
enter the void scena
In pratica se si cercava l’esatto opposto di “The Tree of Life” è a questa pellicola che bisogna rivolgersi. Lì è la vita ad essere esaltata, senza negare il Male. Qui solo una faccia della medaglia viene spudoratamente esacerbata, il male “assoluto”.
Niente è messo a caso in un film che idolatra il Caso. A regnare incontrastato è un Caos senza soluzione di continuità. E d’altro canto come potrebbe essere diversamente? In un’immensa metropoli alla deriva, le esistenze sono regolate da dinamiche che non hanno nulla a che vedere con la volontà del singolo. Un lungo, mortificante proclama all’autodistruzione, deresponsabilizzante e senza merito alcuno. Il tutto, tramite una crudezza delle immagini non indifferente. Non tanto per lo scandalo che può suscitare un rapporto sessuale ripreso con una certa dovizia di particolari. Né probabilmente per le immagini di un aborto consumato, con tanto di primissimo piano sul feto estirpato, non è certo una fellatio, un paio di tette o qualche allusione troppo spinta a scandalizzare; Perché, le ultime generazioni sono state ampiamente preparate in tal senso.
L’enorme merito di “Enter the void” è la sua massima aspirazione all’ultrarealismo, tema molto amato da Gaspar Noé. Il film non rinuncia a tutto ciò e anzi rilancia mettendo altra carne sul fuoco, dando vita un spirale delirante e suggestiva. Non è un caso che proprio nel progetto di una vita, Noè si sia lasciato trasportare dal suo smisurato egocentrismo. Il “vuoto” che la pellicola porta con sé nel titolo sembra essere proprio lo specchio di un regista che, aggrovigliando una matassa infinita di idee, le districa tutte senza nessun problema e crea la sua opera visivamente migliore.
Negli anni a venire si parlerà di questo film come di un cult (i presupposti ci sono tutti), ma continuerà sempre a dividere il pubblico e critica.
Io lo amo…e voi?

FABIO BUCCOLINI