Freaks out: finalmente in Italia qualcuno che rinnova il cinema

Gabriele Mainetti, alla sua seconda regia dopo l’acclamato Lo chiamavano Jeeg Robot, riesce a reinventare il cinema italiano tra neorealismo e modernità

Presentato in Concorso alla 78a Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Freaks out e l’opera seconda di Gabriele Mainetti, non certo un nome sconosciuto. Con Lo Chiamavano Jeeg Robot è riuscito a realizzare un vero e proprio cult; un cinecomic  nostrano ambientato in una Roma degradata con un villain già iconico come lo Zingaro. Con Freaks Out ha voluto alzare l’asticella e con un budget di 12 milioni ha realizzato un altro lungometraggio al di fuori del convenzionale che vede come ambientazione la Seconda Guerra Mondiale.

La trama sembra estremamente esile ma al suo interno contiene un universo, con le sue sotto trame che alla fine collimano in un unico grande racconto: “Nella Roma del 1943, quattro amici lavorano in un circo gestito da Israel, che sparisce nel nulla. Senza il loro capo a guidarli, Matilde, Cencio, Fulvio e Mario si sentono abbandonati e cercano una via di fuga dalla città occupata dai nazisti”.

Il viaggio della ricerca e della fuga dei freaks è una guerra personale all’interno di una guerra mondiale. Un percorso di sopravvivenza che li porterà al di fuori della loro comfort zone circense, rendendoli protagonisti di un’avventura che li separerà e li farà incontrare con personaggi altrettanto unici e folli, per poi ritrovarsi di nuovo, riscoprendosi cambiati irrevocabilmente.

Ed è proprio questa la bellezza di Freaks Out, perché, i quattro freaks sono degli estranei che si trovano a vivere in una società che li vede solo come “giocattoli” da deridere, perché non conformi a ciò che viene considerato “normale”. Che poi, questa normalità, in che cosa consiste? Qual è il criterio che decide chi è normale e chi no? Ogni personaggio ha un passato, un presente ed un futuro, donando allo spettacolo molteplici sottotrame che si vanno a sviluppare all’interno del racconto, in modo da far apparire la storia centrale reale e credibile allo stesso tempo, coinvolgendo lo spettatore e non lasciandolo indietro alle vicende passivamente.

Le ambizioni del regista si vedono tutte fino in fondo: il lavoro, specialmente sul piano tecnico e magistrale. Mainetti è meticoloso, sfrutta tutto il suo budget (anche con il rischio di sforarlo altamente) e nelle sequenze si vede tutto il suo perfezionismo dove ogni dettaglio è curato.

Questo tipo di cinema in Italia non si fa, è come se fosse un taboo; lui invece osa, non si preoccupa delle critiche e imbastisce un set mastodontico proiettato ad un cinema, quello del futuro, che si spera nel nostro paese prima o poi si realizzi.

Le citazioni di Freaks Out sono veramente molteplici, dal cinema d’autore a quello popolare. Impossibile, già dalle prime scene, non farsi tornare alla mente il rimaneggiamento della Storia che avviene in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino.

All’interno della pellicola è inoltre presente un elemento che ha permesso al regista di rendere omaggio al contemporaneo e alla cultura pop. Infatti Gabriele Mainetti si è occupato personalmente della colonna sonora, collaborando con Michele Braga, per regalarci musiche mozzafiato che spaziano dall’atmosfera fiabesca a quella più cupa. All’interno del film, sono presenti dei rifacimenti al pianoforte di In The Hall of The Mountain King di Edvard Grieg, Creep dei Radiohead e Sweet Child O’ Mine dei Guns ‘n Roses.

Probabilmente non è il film più bello del nostro cinema, ma segna uno spartiacque decisivo: il livello e le dimensioni della sua produzione sono unici nel panorama cinematografico italiano recente. Mainetti ha la capacità di omaggiare il grande cinema. Sicuramente meritava di essere scelto dall’Italia per la corsa agli Oscar 2022.

FABIO BUCCOLINI

Pubblicato il 6 novembre 2021, in Cinema con tag , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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