Archivio mensile:ottobre 2014

“Guardiani della galassia”. Puro divertimento a 360°

La Marvel, per una volta, si slega dalla storyline dei suoi ultimi film e sforna una pellicola divertente che strizza l’occhio ai vari “star wars” con un pizzico di azione e ironia alla “Indiana Jones”.
Guardiani della galassia

Tratto da una graphic novel completamente distaccata dall’universo della continuity Marvel, i Guardiani della galassia è una storia in cui non sono presenti i classici supereroi, ma di individui normali (se di normali si può parlare trattandosi di un film di pura fantascienza) che per miracolo ed aiutati dalla buona sorte riescono a salvare la situazione.
La trama è semplice e lineare: L’audace esploratore Peter Quill è inseguito dai cacciatori di taglie per aver rubato una misteriosa sfera ambita da Ronan, un essere malvagio la cui sfrenata ambizione minaccia l’intero universo. Per sfuggire all’ostinato Ronan, Quill è costretto a una scomoda alleanza con quattro improbabili personaggi: Rocket, un procione armato; Groot, un umanoide dalle sembianze di un albero; la letale ed enigmatica Gamora e il vendicativo Drax il Distruttore. Ma quando Quill scopre il vero potere della sfera e la minaccia che costituisce per il cosmo, farà di tutto per guidare questa squadra improvvisata in un’ultima, disperata battaglia per salvare il destino della galassia.
Artefice di questa “mini-rivoluzione” Marvel è il regista James Gunn, sconosciuto ai più e per anni a lavorato per la Troma, per cui a diretto e sceneggiato il divertente e riuscitissimo “Tromeo e Giulietta”. Notato dalla Marvel per lo splendido “Super” (il suo primo film ad avere un vero e proprio riscontro a livello internazionale) datato 2010, gli venne proposta la regia di “Guardiani della galassia” e fortunatamente ritenne giusto accettare l’arduo compito. Arduo perché sconfinando dalla storyline che aveva contraddistinto i precendi film della casa di produzione Americana, era come fare un salto nel vuoto con il rischio che gli spettatori e gli innumerevo fan dei supereroi non avrebbero accetta un cosi grande stravolgimento della linea guida a cui erano abiutati. Guun riesce benissimo nell’arduo compito e tra una citazione e l’altra al cinema degli anni’80, con l’aiuto di una splendida e azzeccata colonna sonora, riesce a coniugare quelli che sono gli elementi giusti per un perfetto film tratto da un fumetto: ritmo, risate ed effetti speciali.
Composta da un 3D quasi inutile e superfluo, una motion capture incredibile e un cast in grande forma composto da Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Lee Pace e dalle voci del duo Vin Diesel – Bradley Cooper, I Guardiani della galassia è per distacco il miglior film Marvel che ad oggi sia stato esportato dagli States.
Nel film di James Gunn si vedono vere e proprie “pennellate” del cinema più bello di Spielberg, di Donner, di Zemeckis, Columbus e, naturalmente, soprattutto di George Lucas negli episodi migliori di Guerre Stellari e Indiana Jones.
Una commedia bizzarra abilmente mascherata da cinecomic, dove per quasi 2 ore si viene letteralmente trasportati in un universo folle ed esilarante tra un procione geneticamente modificato, un albero vivente muto, una sensuale sicaria, un iroso distruttore e un ladro buffone.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “The green inferno”. Perché il film di Eli Roth è scomparso nel nulla?

Dopo un anno di lavorazione e una produzione molto travagliata, “the green inferno” ancora stenta a vedere il buio della sala, cerchiamo di capire il perché…
The green inferno

Innanzi tutto ecco a voi un accenno di ciò che parla il film: The Green Inferno racconta di un gruppo di studenti attivisti della Columbia University che prende un’aereo per andare a salvare una tribù che vive nella remota Amazzonia, minacciata da un progetto edilizio. I ragazzi si incatenano, urlano, twittano e alla fine questo progetto viene bloccato con successo. – Ce l’abbiamo fatta! Siamo degli eroi! – E’ il clima che si respira, ma nel viaggio di ritorno a casa l’aereo ha un incidente e precipita nella foresta, così gli studenti vengono trovati proprio dalla tribù che stavano salvando. Ma l’accoglienza non sarà delle migliori…
Oggi però voglio porvi una domanda: che fine ha fatto “The Green Inferno” di Eli Roth?
Alcuni elementi di base lasciavano presagire che il film sarebbe stato per molti aspetti un evento: Eli Roth nuovamente dietro la macchina da presa dopo sei anni di silenzio dal tanto criticato Hostel: Part II. Il ritorno in sala di un genere così controverso come il Cannibal; la scelta del regista di girare la pellicola in un luogo ancora incontaminato con una vera tribù di indigeni coinvolti come comparse; le recensioni perlopiù positive da parte della stampa internazionale che lo ha visto nei vari Festival.
Per The Green Inferno mancava a quel punto solo una data di debutto nei cinema; data che la Open Road alla fine ufficializzò: 5 Settembre 2014.
Poi ad un tratto è come scomparso, come se la pellicola fosse stata smarrita un po’ in pieno stile Cannibal Holocaust, il titolo al quale Eli Roth si è maggiormente ispirato.
Un mistero quindi? Non proprio. La Open Road ha cancellato The Green Inferno dal proprio listino relativo alle uscite nei cinema. Il motivo pare sia dovuto al fatto che la Worldview Entertainment si è rifiutata di pagare la “Promotion and Advertising”, in parole povere…tutta la campagna promozionale del film, sia online che nei vari circuiti cinematografici e televisivi. Far uscire un film senza alcuna promozione può voler significare un autentico suicidio e, in ogni caso, se dei precisi accordi finanziari avevano stabilito una simile ripartizione di costi, mancando queste basi è ovvio che salta il tutto.
Al momento non si sa se il film avrà ancora una distribuzione nei cinema Usa, se avrà una limited release oppure se finirà direttamente nel mercato Home Video. In Germania ad esempio dovrebbe uscire solo in DvD/Blu-ray a Febbraio del 2015, in Inghilterra invece dovrebbe vedere il grande schermo per la fine del mese di Marzo del 2015. Insomma una distribuzione zoppa, che forse per colpa anche della pirateria renderà la pellicola già vecchia ancora prima di aver concluso la sua distribuzione in tutto il mondo.
E in Italia? I diritti per la distribuzione nel nostro paese di The Green Inferno appartengono alla Koch Media, per ora si parla di Aprile 2015, ma non c’è una notizia ufficiale che confermi questa data.
In attesa di ulteriori informazioni, restiamo fiduciosi…e aspettiamo!

FABIO BUCCOLINI

“Il giovane favoloso”, una favolosa opera d’arte

Dopo una lunga gestazione e il passaggio al festival Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, finalmente è arrivato al grande pubblico il film che vuole raccontare la travagliata esistenza del poeta recanatese.

Il giovane favoloso

Si va al cinema consapevoli (o per lo meno per me è stato così) che non si andrà a vedere una pellicola frivola. Una pellicola intensa e molto lenta che trae forza soprattutto nella bravura di Eio Germano e nei versi di Leopardi.
La trama ovviamente è conosciuta ai più me per correttezza ne inserisco un breve riassunto: la vita di Giacomo Leopardi a partire dalla sua gioventù passata a Recanati, in cui il desiderio di libertà trova sempre più spazio, che lo porterà presto a lasciare il nido familiare per mettersi alla ricerca della ciò che il mondo può offrire, per tentare di comprendere fino in fondo la profondità delle cose.
E così Giacomo si sposta dapprima a Firenze, dove avvengono gli incontri con l’amata Fanny con l’amico Antonio Ranieri e con il suo “maestro di vita” Giordani. Poi a Roma ed infine a Napoli, città dalla quale l’autore resta affascinato. È qui che l’esistenza di Leopardi troverà la propria conclusione e il suo pensiero assumerà una forma destinata a resistere nel tempo.
Parliamoci chiaro, non è la classica biografia. Il film non vuole raccontare ogni tratto della travagliata vita del poeta, ma ci viene mostrato l’uomo. L’uomo che voleva conoscere il mondo, colui che odiava la sua Recanati considerata un carcere per l’anima, ma la amava alla follia. Dai viaggi alla scoperta della conoscenza, la sua teoria del pessimismo che di pessimismo non si trattava e per finire gli amore le malattie e gli amici di una vita che non lo hanno mai abbandonato.
La sceneggiatura del film attinge agli scritti di Leopardi, ma soprattutto alle sue Operette morali che, il regista Mario Martone, già aveva portato a teatro con uno spettacolo da lui diretto. “Affrontare la vita di Leopardi significa svelare un uomo libero di pensiero, ironico e socialmente spregiudicato – spiega il regista -, un ribelle, per questa ragione spesso emarginato dalla società ottocentesca, un poeta che va sottratto una volta e per tutte alla visione retorica che lo dipinge afflitto e triste perché malato. “Il giovane favoloso” vuole essere la storia di un’anima, che ho provato a raccontare – conclude Martone -, con tutta libertà, con gli strumenti del cinema.
Un’opera unica nel suo genere, si lascia guardare e ci mostra gli stati d’animo del grande autore durante la scrittura dei suoi più famosi sonetti.
Mario Martone riesce nell’impresa di raccontare una vita difficile usando una macchina da presa sempre in movimento, una colonna sonora perfetta e un interprete, Elio Germano, che più Leopardi non si può.
La regia teatrale, che contraddistingue tutte le opere di Martone, è perfetta per questa storia di vita. Pur essendo un’opera “pesante”, non stanca nella visione e quando finisce tutto riesce a far riflettere lo spettatore su tutto quello che Leopardi a fatto nella sua vita e ci si rende conto di quanto importanti furono le sue gesta per la letteratura.
La cosa eccezionale della pellicola è Elio Germano. Per prepararsi al personaggio ha dormito nelle vere stanze del poeta e si è immedesimato in modo tale al grande letterato che lo fa rivivere. Ogni stato d’animo, ogni dolore, ogni passione sono riportati negli occhi di Elio Germano come se fosse lui a soffrire o gioire a posto di Leopardi. Un’interpretazione intensa, sincera e voluta che porta il giovane attore ad essere uno dei migliore del suo tempo.
Cosa dire di più? Il miglior film italiano dell’anno…il vero vincitore del Festival di Venezia doveva essere lui, ma la giuria ha preferito non favorire troppo una pellicola italiana.
Da vedere, rivedere e rivedere di nuovo per capire la vera essenza di una grande personalità che non è mai stata compressa a pieno.
“Io pessimista? Pessimismo? E’ una parola insensata, siete voi che date un giudizio alle mie opere, siete voi che mi considerate pessimista, io non l’ho mai detto. Ci sono solo due cose che valgono la pena di essere raccontate: la vita e la morte…solo questo a senso”.

FABIO BUCCOLINI

“Lucy”: non nominare Nikita invano

Uscito nelle sale qualche settimana fa, il film è stato da subito campione di incassi, ma la pellicola non è assolutamente degna del nome del grande Luc Besson.

Lucy

Nella storia di Besson conosciamo Lucy (Scarlett Johansson), una giovane studentessa spensierata che vive a Taiwan. Viene ingannata dal suo fidanzato e convinta a consegnare una valigetta a un contatto d’affari. Prima che possa anche solo comprendere la situazione nella quale è rimasta irretita, Lucy viene catturata e presa in ostaggio dallo spietato Mr. Jang. Quando i suoi gorilla impiantano chirurgicamente nella nostra eroina un pacchetto carico di una potente sostanza sintetica (così potente che, molto probabilmente, se fuoriuscisse la ucciderebbe) il suo terrore si trasforma in disperazione. Insieme a una manciata di altri riluttanti portatori, Lucy viene mandata all’aeroporto con lo scopo di volare in tutto il mondo come recipiente per il trasporto di un materiale che, per i suoi rapitori, è di inestimabile valore.
Quando la sostanza chimica viene accidentalmente liberata all’interno e assorbita dal corpo di Lucy, comincia l’inimmaginabile: la sua capacità cerebrale viene schiusa a livelli sbalorditivi e precedentemente solo ipotizzabili.
Cosa succederebbe se usassimo il 100% delle nostre capacità cerebrali? Se lo chiede il regista Luc Besson e confeziona ad arte un film che si regge solo ed esclusivamente sulla buona interpretazione di Scarlett Johansson, sempre più a suo agio in questi ruoli da eroina impavida. Recita bene, si immedesima perfettamente nel personaggio ma non esce dal consueto. La sua Lucy sembra una copia più spenta della vedova nera degli Avvengers e il personaggio, più di una volta, sembra perso, asettico; in pratica più che una “super donna” che riesce a controllare perfettamente tutte le sue capacità sembra un alieno di Men in black che non si trova a proprio agio nel corpo del passeggiero di turno.
Gli altri attori sono trascurabili, anche il grande ed immenso Morgan Freeman è sotto la media. Recita la sua parte perfettamente, ed è stata ottima l’idea di far interpretare a lui lo scienziato, ma onestamente sembra che non si sia preparato per niente per il ruolo e fa quello che farebbe un attore di medio livello.
Il regista ce la mette tutta, ed è grazie alla sua maestria che il film acquista interesse. Le scene d’azione sono confezionate ad hoc, e l’idea di dare le redini di tutta la storia in mano ad una donna funziona perfettamente (comunque siamo lontanissimi dai giorni in cui Nikita fece la propria comparsa sugli schermi). Il suo film vuole essere troppo filosofico. Intreccia (in modo perfetto, bisogna dirlo) immagini odierne con visioni astratte dell’universo in stile The tree of life. Questo suscita più curiosità ma non riesce nell’intento. La sua pellicola più che un saggio filosofico sulla scoperta delle nostre potenzialità sconosciute, è un film di pura fantascienza che nell’ultima mezzora azzarda troppo e perde di credibilità.
In pratica i tempi di Leon e Nikita sono passati, Besson omaggia i suoi vecchi capolavori ma confeziona solo ed esclusivamente un prodotto di puro intrattenimento in stile americano che certamente diverte mentre lo si guarda, ma si dimentica facilmente usciti dalla sala.
Rimpiangendo il sicario romantico Jean Reno e in attesa che la vera anima del grande regista francese torni ad essere espressiva come una volta.
Insipido…

FABIO BUCCOLINI

“Sin city – una donna per cui uccidere” : la città del peccato non ha più lo stesso carisma

Nove anni dopo la fortunata trasposizione cinematografica della graphic novel di Frank Miller arriva questo attesissimo sequel che delude le più rosee aspettative dei fan.

Sin city - una donna per cui uccidere

Questa volta le storie che si intrecciano tra di loro sono addirittura quattro (diversamente dalle tre che avevano fatto da traino al primo film), due delle quali scritte ex novo, appositamente per la pellicola, da Frank Miller stesso.
1- “Una Donna Per Cui Uccidere”: Anni prima di “Un’abbuffata di morte” (capitolo dell’opera precendente), Dwight McCarthy lotta con i suoi demoni interiori e cerca di mantenere il controllo fino a quando non ritorna il suo primo amore, Ava Lord, che gli chiede aiuto per sfuggire alle grinfie del suo violento marito, il milionario Damien Lord e della sua enorme guardia del corpo Manute .
2- “Solo un altro sabato sera”: La sera in cui John Hartigan incontra Nancy in “Quel bastardo giallo”(sempre presente in Sin City), Marv riprende conoscenza mentre è sulla statale che domina i Projects, circondato da giovani morti e incapace di ricordare come ci è arrivato.
3-“Quella lunga, brutta notte” (storia originale) Johnny, un presuntuoso giocatore d’azzardo, trucca una missione per sconfiggere al suo stesso gioco il cittadino più malvagio di Sin City. Sfortunatamente se la prende con l’uomo sbagliato e gli eventi prendono una piega peggiore.
4- “La grossa sconfitta” (storia originale) Ambientata dopo il suicidio di John Hartigan alla fine di “Quel bastardo giallo”, la storia si concentra su una più temprata Nancy Callahan che cerca di superare la sua morte mentre pianifica l’omicidio del Senatore Roark.
Storie inedite che si intrecciano con quelle vecchie, ma, nonostante il grande lavoro che i due registi hanno fatto per portare la pellicola ad un livello superiore, sono inconcludenti, quasi imbarazzanti ma soprattutto rapportate a quelle del primo film confondono lo spettatore.
Non si tratta ne di un sequel, ne di un remake e nemmeno di un prequel. Lo spettatore cerca di trovare il filo logico tra la prima e la seconda pellicola, ma nonostante tutti gli sforzi che può fare non ci riuscirà mai. Tornano inspiegabilmente personaggi dal primo film e Miller nelle due nuove sceneggiature non illustra la motivazione con cui questi ultimi siano potuti tornare, mentre quelli nuovi non hanno la verve adatta per poter imporre curiosità a chi sta guardano.
Due sono le cose migliori di tutto il film: la prima è Mickey Rourke che, pur essendo passati 9 anni, il suo Marv è il personaggio cardine di tutta l’opera senza il quale sarebbe tutto inconcludente e ridicolo. Rifà sempre la solite cose ma le fa talmente bene che è un piacere per la vista; l’unica domanda che suscita il personaggio è: l’attore si è sottoposto ad ore di trucco oppure è effettivamente la sua faccia?
La seconda è Eva Green. Nei panni della “donna per cui uccidere” è perfetta e da un tocco di erotismo che mancava a questa saga sin dalla prima pellicola. Si spoglia e lo fa senza problemi, sembra che negli ultimi anni i sui personaggi abbiano dimenticato i vestiti a casa, ma lei non ci fa caso e da prova di un’ottima recitazione nonostante le sue curve la mettano in secondo piano.
Per il resto è tutto gia visto e rivisto, i registi Robert Rodriguez e Frank Miller sono ottimi mestieranti e sanno come fare il proprio lavoro, ma non riesco a dare quella scintilla che servirebbe alla pellicola per elevarsi dalla media.
Rielaborano il bianco e nero del primo film, girano i 3D nativo per dare più profondità ma non raggiungono l’effetto desiderato. Esaltano i contrasti tra il bianco, il nero è i pochi altri colori presenti ma non migliorano e lo spettatore rimpiange le imperfezioni del precedente lavoro, ma soprattutto non si ricordano che questa è una trasposizione. La differenza tra fumetto e pellicola è abissale, riproporre perfettamente le sfumature dei disegni di Miller è un azzardo troppo grande e non si rendono conto che più si avvicinano all’”originale” più la gente resterà delusa. In questo non li aiuta il 3D, infatti questa è solo una trovata commerciale per portare più gente al cinema, ma trasportare in sala personaggi nati in due dimensioni con il 3D non sembra la scelta più adeguata.
In conclusione, non si sentiva l’esigenza di questo sequel, Sin city era perfetto così come era, difetti inclusi. Questo nuovo capitolo sembra solamente un film fatto per la carenza di idee che negli ultimi anni c’è a Hollywood. Se in 10 anni non se n’era sentito il bisogno, perché resuscitarlo ora? Ma soprattutto, dato che erano passati così tanti anni e il tempo per riflettere bene c’è stato, ci saremo aspettati un film meno mediocre.
In America, in più di un mese di programmazione, è stato un flop, ma Rodriguez e Miller già pensano al terzo capitolo…
Date le premesse cosa ci dovremmo aspettare?…Staremo a vedere.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Evil things – cose cattive”, guardate e riflettete

Il film prodotto dalla casa indipendente Inside di Luca Argentero è una pellicola di denuncia mascherata d’horror.

Cose cattive

In Italia questo film è stato letteralmente dimenticato, non è servito il nome di Argentero come produttore o quello di Marta Gastini (I borgia) a convincere la grande distribuzione a farlo girare come si deve in tutta la penisola.
Quest’opera è stata presentata in tour. Esatto avete capito proprio bene, la produzione e tutto il cast a portato in giro per l’Italia la pellicola come se si andasse ad un concerto e dopo 3/4 date, il film è scomparso dal grande schermo e si è potuto recuperare in questi giorni quando la Eagle pictures ha deciso di distribuirlo per il mercato home video.
La trama è semplice (come in tutti gli horror) ma curiosa allo stesso tempo: 12 novembre 2011. Ore 17. Casa perduta, località Pianche. Una volta imboccato il sentiero sterrato, dopo il quinto tornante sulla destra, prendi la deviazione. Questa pagina si cancellerà automaticamente…”. Un messaggio, un blog, quattro ragazzi entrati a far parte di un gioco perverso. Un carnefice, il Master del blog, quattro vittime – nessuna veramente innocente – e un processo in diretta streaming su internet, in cui gli utenti voteranno per la vita o la morte dei protagonisti.
L’idea per la pellicola è nata di pari passo con quella del blog (realmente esistito – e monitorato – nella fase di preparazione del film) che esorta tutti i suoi frequentatori a sfruttare l’ingegno per dare vita alla creatività più grottesca, quella che poggia sulle frustrazioni, sulle fragilità e sulla drammatica voglia di protagonismo proprie dell’uomo. Un mondo (soprattutto quello che associa la rete al mondo dei giovani) spesso sfruttato come cartina di tornasole per portare alla luce e sublimare l’insana brutalità/malvagità che alberga e prolifera nelle persone soprattutto più fragili.
A questo quadro si associa la realtà intrinseca della velocità di diffusione e condivisione delle idee tipica delle odierne tecnologie, a rappresentare un male che può alimentarsi e propagarsi a velocità incontrollabile.
La domanda che sorge spontanea è: siamo difronte ad un altro (l’ennesimo) film indipendente italiano? La risposta è si, ma questa volta possiamo stare tranquilli. La pellicola è indipendente e girata con soli 106.000 euro ma stavolta, anche se non pienamente soddisfatti, possiamo trovare in quest’opera spunti finalmente interessanti e una messa in scena che stranamente non fa gridare all’obbrobrio, come succede sempre più spesso nel sottobosco underground del nostro cinema di genere. Sarò più chiaro, non si tratta assolutamente di capolavoro, ma era probabilmente dallo “Shadow” di Zampaglione e dallo sfortunato “Morituris” di Raffaele Picchio che non sembrava di stare assistendo al solito scherzo girato tra amici e arrivato così per caso al cinema.
La prova registica di Simone Gandolfo (alla sua prima prova dietro la macchina da presa) è conforme alla regola, non fa niente di eccezionale ma riesce a mantenere alta la tensione fino in fondo senza annoiare lo spettatore. La cosa migliore di tutta la pellicola è la scenografia. Grottesca, conturbante e malsana, cose che in un film italiano di questo genere non si vedeva dai tempi di Il bosco fuori di Gabriele Albanesi.
Quest’opera omaggia e non lo nasconde affatto, anzi è il suo punto di forza. Dalla drammaturgia di Saw (in assoluto il titolo più influente nel tessuto narrativo di Cose Cattive), passando per il richiamo estetico della trilogia Millennium (la brava protagonista Marta Gastini è una chiara rivisitazione di Lisbeth Salander), e attingendo ideologicamente al filone di adolescenza quale sinonimo di crudeltà legato a opere a impianto psicologicamente horror come Cruel Intentions. Non mancano i riferimenti al grande Hotchcock dove il suo Psycho è stato sicuramente di grande aiuto per la creazione del “master” ma si possono vedere riferimenti anche al “Seven” di David Fincher ed infine anche il Silas del Codice Da Vinci viene ripreso.
Insomma una pellicola che omaggia e lo fa bene, tutti i tasselli del puzzle sono incastrati perfettamente e il tutto funziona come un orologio.
Il tema principale, al quale molti spettatori non daranno sicuramente peso, è la rete e la velocità di condivisione delle cose, idee o qualsiasi cosa si decida di mettere alla mercé di tutti.
Quest’opera non è un horror per le scene splatter che mette in mostra ma per l’avarizia degli uomini nell’uso della tecnologia. Ci fa vedere la vera e cruda realtà, cioè quando siamo ridicoli.
Ci beviamo tutto quello che ci viene mostrato e non siamo in grado di staccarci da questo. Siamo schiavi della tecnologia, basta che ci diano una connessione, un dispositivo che si colleghi e non ci interessa cosa vediamo basta che siamo collegati.
La scena più raccapricciante non centra con il sangue, anzi è tutto il contrario. La cosa più vergognosa è che chi segue la diretta streaming del cosiddetto “gioco” non si rende conto di guardare una cosa reale fino alla fine. Questo vuol dire che siamo succubi dei media e che non ci interessa se sia finzione o realtà, basta che noi siamo presenti al “Massacro”.
Il Master del film non è un killer, ma siamo noi stessi che nonostante la bellezza della vita ci autodistruggiamo davanti ad uno schermo che ci monopolizza e ci rende vegetali.
Vi lascio con un quesito: Se quello che ci sembra vero fosse una finzione, se la vita che viviamo sia un’illusione creata ad hoc dai grandi media, cosa è veramente la vita eliminando la rete???
Riflettette…

 

FABIO BUCCOLINI