Archivio mensile:aprile 2015

Quentin Tarantino a Venezia con “The hateful eight”?…Probabile!!!

Nonostante “The hateful eight” abbia avuto una gestazione travagliata, finalmente è giunta al termine e il suo produttore Harvey Weinstein lo acclama come capolavoro. Voci di corridoio assicurano, tempo permettendo, la sua partecipazione al Festival di Venezia.
hateful eight

Il film è un western girato sulle montagne del Wyoming e ambientato in Colorado alcuni anni dopo la guerra civile combattuta negli Usa tra il 1861 e 1865. Ruota attorno alle tensioni che si creano in un gruppo di persone rimaste intrappolate in un saloon dopo che una tempesta di neve ha divelto la loro diligenza. Il gruppo include due cacciatori di taglie, un soldato confederato rinnegato, uno sceriffo, una prigioniera e l’autista.
Nel cast, di cui già vi avevo parlato in un altro articolo presente nel blog, Tim Roth, Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Demian Bichir, Michael Madsen, Bruce Dern e Channing Tatum (entrato a far parte della produzione a riprese inoltrate).
Sofferta, la produzione di “The hateful eight”, volge finalmente al termine. Le riprese, ha fatto sapere il produttore Harvey Weinstein, si concluderanno a breve dando modo a Quentin Tarantino di portare la sua creatura al cinema prima del nuovo anno. “È un film speciale – spiega il rappresentante della Weinstein Company, un film divertente, acuto, originale e molto, molto buono.
La pellicola, ultima fatica (professionale e personale) dell’estroso Tarantino, è stata segnata da una serie infinita di disavventure . Lo scorso anno, prima dell’inizio delle riprese, qualcuno ha pensato di rubare la sceneggiatura del film e diffonderla in rete. Inizialmente Tarantino voleva abbandonare il progetto e diffonderlo come romanzo, poi il regista del Tennesse è ritornato sui suoi passi ed a decio di dare il via alle riprese.
Il film verrà stampato in 70 mm come “The master” di Paul Thomas Anderson e “Interstellar” di Christopher Nolan. L’omaggio più evidente tra neve e altopiani innevati è sicuramente “Il grande silenzio” di Sergio Corbucci, già citato in altri film di Tarantino.
“The hateful eight” dovrebbe essere pronto per l’autunno 2015 e forse già in arrivo per i festival di settembre: forse al Lido di Venezia.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Excision” un teen-movie deviato

“Excision” è una pellicola che si pone nel contesto dei teenager disturbati e nel settore “dangerous woman” a cui appartengono titoli come “The Woman” del nostro caro lucky McKee.
Excision
Il film è la versione cinematografica di un cortometraggio omonimo che lo stesso regista, Richard Bates Jr. qui alla sua opera prima, realizzò nel lontano 2008.
Pauline è una adolescente disadattata, che si districa impacciata tra le incomprensioni familiari, la scuola che la ghettizza e il rapporto sacrilego e sfacciato con la religione. L’unico rifugio sembra il mondo segreto delle sue fantasie erotiche venate di onnipotenza, mortifere e ricolme di sangue. La madre tenta di risolvere la situazione problematica obbligandola a partecipare ad un cotillon, mentre le condizioni della sorella Grace, malata di fibrosi cistica, peggiorano precipitosamente.
excision (1)
Il fulcro della pellicola è il concetto di excision, termine che letteralmente indica un’asportazione effettuata mediante recisione. In primo luogo è un richiamo al grande sogno di Pauline di diventare medico, causa della sua ossessione per il sangue e la carne. La sua follia e la sua vocazione si intrecciano portandola ad effettuare una rudimentale autopsia su un uccello morto. In secondo luogo è un taglio netto tra la realtà empirica e la sua percezione ad opera di Pauline. La realtà dice che Pauline è una ragazza apparentemente insignificante, disturbata ed estraniata, in pratica una sociopatica. Lei però si vede differente: una ragazza bellissima che consuma fantasie cosparse da litri di sangue. In terzo luogo, Pauline è estraniata dal suo ambiente. Ignorata dall’ambiente scolastico. Incompresa dallo psicoterapeuta. Invisibile agli occhi di un padre distratto e di una madre perennemente preoccupata dell’apparire e della formalità, le cui attenzioni sono rivolte in maniera preponderante alla malata figlia minore.
Pauline sembra proprio la sorella minore dell’indimenticabile “May” di Lucky McKee, film di argomento simile ma ben più folgorante (e disturbante).
Pauline
Tutto il film sembra sorreggersi sulla bravura delle due protagoniste, la Lords e Annalynne McCord, il cui mix tra trasandatezza e innocenza post pubertà cerca di rappresentare in maniera forte le pulsioni ribelli dei teenagers “emo”, il tutto con una scorrevolezza invidiabile, escursioni surrealiste (i sogni patinato-ematici della protagonista) e balzi nel cattivo gusto decisamente forti.
A metà tra l’horror e la commedia, Excision non è un capolavoro cinematografico, ma ha certamente il pregio di riuscire nell’intento di trasformare la comicità in grottesco, strappando allo spettatore sorrisi amari. Si ride per il nonsense di alcune scene, provando di tanto in tanto un po’ pena nei confronti della sua goffa protagonista, ma più d’ogni altra cosa si piange sul finale per l’agghiacciante conclusione adottata dal regista. Una risoluzione tanto feroce quanto efficace al punto che se avesse avuto un altro finale sarebbe stato un altro film…un mediocre film.
In pratica “Excision” è un film difficile perché passi tutto il tempo a ripeterti che lo spettacolo a cui stai assistendo è veramente troppo estremo (non tanto per il gore, quanto proprio per il modo in cui certe scene sono rappresentate), fino ad arrivare agli ultimi minuti del film, che conferiscono alla pellicola un valore che oltrepassa il narcisismo e i deliri post-adolescenziali. Una sequenza di rara durezza emotiva, costruita in modo meticoloso, fa precipitare il film nella follia affettiva più cupa e disarmante e fa cogliere tutto il talento di Bates Jr. nella direzione degli attori e nel montaggio delle scene per ottenere che il pugno nello stomaco ferrato sia il più forte.
Excision 2
La disperata inquadratura finale sarà più agghiacciante di qualsiasi rapporto necrofilo, autopsia su animali o assorbente in primo piano che vi sia stato mostrato e la sola cosa che riesci a dire è che, in realtà, Richard Bates Jr ha compiuto un capolavoro. Se, però, il vostro stomaco è debole, la vostra sensibilità spiccata e non siete in grado di ironizzare sui piccoli grandi disastri della vostra esistenza, lasciate perdere, questo film non fa decisamente per voi.

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “The loved ones” un feroce revenge-movie in salsa teen-movie

“The Loved Ones” arriva dall’Australia, terra magnifica e crudele quando è chiamata a portare in scena film horror in salsa da torture porn. Un esempio tra tutti “Wolf creek” di Greg McLean che il regista e sceneggiatore Sean Byrne dimostra di aver apprezzato. La pellicola funziona nella sua alchimia di generi e registri e appare come una bella ventata d’aria fresca nel filone dei film di tortura esplosi nell’ultimo decennio.
The loved ones

Non lasciatevi ingannare dalla locandina eccessivamente patinata o dalla trama decisamente banale. Il film si trasformerà presto in un piccolo compendio delle psicopatologie che un’adolescente deviata può sviluppare, se rifiutata dal ragazzo prediletto per il ballo di fine anno.
In seguito a un incidente d’auto in cui ha provocato la morte del padre, Brent Mitchell si rifugia nell’alcol e nelle droghe. Quando, all’avvicinarsi del ballo della scuola, la timida e impacciata Lola lo invita ad accompagnarla, Brent rifiuta perché ci andrà con la sua fidanzata. Prima del ballo, il ragazzo va a fare una passeggiata e d’improvviso perde conoscenza. Al risveglio si trova legato in una cucina che non conosce, dove appaiono Lola e suo padre che inscenano un singolare ballo di fine anno scolastico che ha come protagonisti Brent e la resistenza al dolore.
Ambientato nella periferia di un’anonima provincia australiana, vediamo sfilare una serie di personaggi e situazioni, istituzionalmente legati alla cinematografia di genere americana. La pellicola è condita da scene a sfondo ironico che si snodano in parallelo alla storia principale, alleggerendo la visione, senza distogliere troppo l’attenzione. La parte succosa del film si avvia quasi subito: l’anonima Lola chiede al bello e maledetto Brent di andare la ballo insieme, lui rifiuta e lei deciderà di vendicarsi.
L’esordiente Sean Byrne descrive la vita adolescenziale liberandola da qualunque ancoraggio geografico e temporale. Il film è ambientato in Australia ma questo necessariamente non traspare, dal momento che gli scenari e le dinamiche tra personaggi potrebbero appartenere anche al più classico teen movie americano, così come la collocazione temporale indefinita, che richiama prepotentemente gli anni ’80 senza che questo sia mai specificato. “The Loved Ones” gioca proprio su questa universalità narrativa per raccontare essenzialmente una storia di dolore e solitudine, stemperando il tutto con alcune scene tipicamente da commedia adolescenziale.
Le scene fortissime non mancano, il terrore serpeggia, niente è lasciato all’immaginazione, l’unità di tempo rende tutto maledettamente serrato. Il film punta dunque il dito verso una società che funziona al contrario, che dietro uno specchio di normalità e bontà nasconde del marcio. I canoni della bellezza e le regole del sentirsi parte di un gruppo di pari spronano alla follia e alla violenza; la famiglia, tabernacolo dell’educazione e della moralità, è in realtà un ricettacolo di pulsioni violente e oscene. Ogni volta che si pensa di essere arrivati al limite, all’ultimo scalino della sopportazione, eccone che se ne forma un altro e si continua a salire. La lobotomizzazione frontale più bollitore è roba da veterani del genere.
Gli attori son grandiosi, il ragazzo ha un viso e una storia che lo ami da subito, i due pazzi son talmente così allucinanti che ne diventiamo quasi oggettivamente affascinati.
Sean Byrne capovolge le regole e se l’eroe è un ragazzo un po’ emo, passivo e trasandato, la principessa del ballo, dall’aria innocente e dagli abiti rosa pastello è un mostro sadico e spietato. Al fianco di questo anomalo duetto ne risiede un altro altrettanto atipico, composto da Jamie, amico nerd e cicciotello di Brent, e Mia, affascinante goth girl particolarmente introversa. Jamie e Mia e il loro strambo rapporto rappresentano la parte comedy del film e questa coppia male assortita con le loro particolari avventure da prom night funziona bene.
Nonostante Byrne non inventi nulla, limitandosi a riproporre la formula del torture porn applicato al teen movie e alla tematica della famiglia disfunzionale, “The Loved Ones” ha una carica e una struttura d’insieme che convince. Il modo diretto con cui è narrata la storia, la contaminazione con la commedia e la giusta caratterizzazione dei personaggi fanno di “dell’opera una delle più riuscite recenti incursioni nel filone.
Horror piccolo, senza fronzoli, che non si atteggia ma ci va giù pesante, molto pesante.
Per chi ama i film ad alto tasso di ferocia è assolutamente consigliato, per gli altri, soprattutto se facilmente impressionabili, lo sconsiglio vivamente.
Ovviamente inedito in Italia…

FABIO BUCCOLINI

I film dimenticati. “Big bad wolves” il noir israeliano che non dimenticherete molto facilmente

Viene da Israele uno dei film più interessanti dell’anno. E’ una storia nera di vendetta che sa impressionare, ma è anche così abile da contaminare di continuo il proprio incedere verso l’inferno di momenti di grande comicità che non alleggeriscono ma addirittura appesantiscono la materia trattata.
Big-Bad-Wolves

Adoro la figura del grande lupo cattivo. Perché il grande lupo cattivo non è altro che malvagità fatta di furbizia e stupidità, radicata nei contesti sociali (politici) e istituzionali. Il grande lupo cattivo è il male riconosciuto e accettato che, la maggior parte delle volte, si riesce a fingere agnello. Ed è proprio di tutto questo che parla, secondo me, un film come Big Bad Wolves.
Arrivato con la benedizione di Quentin Tarantino, che l’ha inserito nella personale top ten dei migliori film del 2013, “Big bad wolves” non deluderà le attese dei tarantiniani doc, vista la gran dose di cinefilia, humor e violenza gratuita che regala. Il film conferma inoltre l’ottimo stato del cinema israeliano, qui testato su un versante più di genere che autoriale.
Stato d’Israele. Una serie di brutali omicidi fa incontrare e scontrare la vita di tre uomini: Il padre dell’ultima vittima in cerca di vendetta, un investigatore che usa spesso operare aldilà dei confini della legge e il principale sospettato degli omicidi, un insegnante di religione arrestato e rilasciato a causa di un errore della polizia.
Se al loro esordio i due registi si erano avventurati nel filone dello slasher piegandolo alla loro personale (e abbastanza originale) visione, in questa seconda prova affrontano il thriller e il genere torture.
“Big bad wolves” è un film che, inizialmente, potrebbe far pensare a opere come “Prisoners”, ma pian piano si distacca da una certa visione occidentale del tema, andando a cadere nell’analisi sociale con un certo distacco emotivo. Riesce persino ad evitare la trappola del già visto, infatti siamo di fronte ad un film che tutto ciò che mostra è fine alla storia e niente è gratuito.
Lo spunto di partenza è abbastanza semplice e tutto sommato anche risaputo: c’è in giro un serial killer che si dedica a rapire, seviziare e uccidere bambine, c’è un poliziotto dai metodi spicci che esagera nell’interrogare un sospetto e per questo motivo viene sospeso, c’è il padre di una vittima, disperato, in cerca di vendetta e convinto che il sospetto di cui sopra sia in effetti il colpevole. Il bello è che il tutto viene raccontato mescolando assieme tre film diversi. Da un lato c’è il thriller con mistero, poi c’è il film più truce, quello dedicato all’accanimento sul pover’uomo, infine c’è la commedia, assolutamente dark, che davvero a tratti fa schiantare dal ridere, perché propone personaggi che scivolano spesso nella macchietta.
Ovviamente, la chiave per poter apprezzare “Big bad wolves” sta anche in una questione di sensibilità personale, nel non farsi problemi di fronte a un racconto che mescola in maniera assolutamente organica tutte le componenti di cui sopra. “Big bad wolves” si prende tremendamente sul serio, ma allo stesso tempo non lo fa, scherza un sacco mentre sferra pugni nello stomaco, unisce e amalgama tutto, senza alternare. In questo, ha qualcosa che ricorda la sensibilità del cinema dall’estremo oriente e può risultare spiazzante, soprattutto nel momento in cui ti dice chiaro e tondo che stai ridendo di cose sulle quali non c’è proprio nulla da ridere. Dove invece non può lasciare dubbi è sull’incredibile cura per l’immagine, che esplode fin dal primo secondo e non molla un attimo fino alla fine.
Bellissimo da vedere. Solo nella sequenza di apertura c’è più cinema che negli ultimi dieci anni di film italiani. Verrà rivalutato negli anni.

FABIO BUCCOLINI